giovedì 1 settembre 2011

Il commiato di Alberoni da Il Corriere della Sera


Un certo sguardo sull’Italia
Un termometro delle sue passioni



È scaduto il mio contratto e questo è il mio ultimo articolo sul Corriere della Sera. Ho incominciato a scrivervi nel 1973, poi un breve intervallo su la Repubblica di Eugenio Scalfari. Mi ha chiesto di riprendere di nuovo nel 1986 il direttore di allora, Piero Ostellino, ed io gli ho proposto di mettere l’articolo il lunedì perché allora c’era solo lo sport e, nella prima pagina in basso, non disturbavo nessuno.

È nata così la «rubrica del lunedì» che siete abituati a leggere e in cui, per venticinque anni, ho parlato di argomenti lontani dai titoli della prima pagina, dal clamore dei dibattiti politici e delle polemiche roventi. Ho analizzato la vita quotidiana, ciò che succede alla gente comune, nelle case, nelle imprese, negli uffici, nel cuore e nella mente degli uomini. Ho scritto ciò che studiavo come psicologo e come sociologo: l’animo umano con le sue passioni, i suoi vizi, le sue virtù, le sue speranze e i suoi timori. Ho parlato dell’amore, dell’erotismo, della gelosia, della fedeltà e dell’infedeltà. Ho parlato dell’amicizia, della lealtà e del tradimento. Ho parlato dei capi, dei creatori, degli imprenditori, ma anche dei distruttori, dei prepotenti e dei vanitosi. Ho parlato del lavoro, della scuola, dell’insegnare, dell’apprendere. Ho parlato della catastrofe e dello sconforto, della forza morale, dell’ottimismo e della speranza.

Ogni volta, anche nelle situazioni più difficili, ho cercato di trovare una nota positiva, una meta verso cui andare. Non ho mai attaccato o deriso nessuno, ho sempre cercato di capire le ragioni del comportamento umano convinto che, quando conosciamo noi stessi, possiamo cambiare o migliorare.

Ho un ricordo bellissimo del Corriere della Sera. È stato scrivendo i primi articoli che ho incominciato a elaborare quel linguaggio che mi consente di essere capito da tutti e tradotto in tutto il mondo. Il Corriere è stato inoltre per me una grande scuola di libertà: ho sempre potuto scrivervi quello che volevo e non è mai intervenuto nessuno a dirmi cosa dovevo o non dovevo dire. Conservo un caro ricordo dei direttori che si sono succeduti, da Piero Ostellino a Ugo Stille (Misha) e il suo vicedirettore Anselmi che mi ha insegnato ad andare avanti sereno ignorando il chiasso dell’attualità. Poi Stefano Folli e, infine, due carissimi amici e maestri, Paolo Mieli e Ferruccio de Bortoli. A commiato, un abbraccio al pubblico che mi ha seguito.

Francesco Alberoni

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