lunedì 26 luglio 2004

L’Angelo bianco di Campitello Matese

“E’ morta come un angelo ed è stata missionari negli Ospedali, tra i malati: ora Dio l’ha chiamata a sé”.
Ci ha salutato così Chiara, con le parole sempre serene di sua madre che al telefono mi dà la triste notizia.
“Domani invito anche te al matrimonio. Sì, al matrimonio perché questo non sarà un funerale ma il matrimonio di Chiara con Dio”.
Rimango ad ascoltarla gonfiandomi gli occhi di pianto ma non posso piangere, Chiara non vorrebbe, Chiara non l’ho mai vista piangere in tutti gli incontri qua in ufficio, con o senza gamba ingessata, ed in quella splendida settimana invernale a Campitello Matese.
Chiara l’ho vista sempre allegra, più che vista… sentita… vissuta sempre allegra, sempre vivace, sempre attenta con quel cervello sempre in funzione e troppo grande per essere contenuto in quel corpicino.
Con tutto quello che ha passato e sta passando come fa ad essere così serena?
Papà Gigi ci ha insegnato tutto il resto: papà Gigi è sempre presente, e sempre allegro.

martedì 6 gennaio 2004

I professori senza cattedra

Vi voglio parlare di una specie rara di essere umano, persona, che ho conosciuto a Campitello Matese.
Non è l’orso marsicano che qualcuno ha individuato “slalomando” sulle piste innevate.
Oggi vi voglio parlare dei professori senza cattedra.
Chi sono costoro?
Alcuni hanno l’aspetto longilineo e caricaturale di un Mussini qualunque. Si aggirano per l’albergo improvvisando giochi di prestigio e rendendo difficili anche le magie più semplici; si scherniscono davanti agli elogi od alla semplice enunciazione dei loro servizi ricoperti all’interno dell’associazione; stringono i denti quando sentono che dovrebbero fermarsi perché sanno che l’esempio è il primo professore senza cattedra; hanno sempre lo sguardo fiero ed ottimista; conoscono a memoria mille citazioni ma soprattutto non capisci mai quando è iniziata la loro lezione e quando è finita perché lo stare con loro, il solo incrociarli, può essere occasione per uno scambio di battute, serie o facete, bioetiche o biodegrabili col tempo.

sabato 18 ottobre 2003

Non abbiate paura: la salute del Papa

Tanti anni fa, in ambiente Vaticano, girava un aneddoto. Qualcuno vicino al Papa gli chiese come stava e lui disse: chiedetelo ai giornalisti.
Il Papa e la sua salute, la sua sofferenza, la sua malattia. 
Oggi il Papa è malato e non c’è bisogno di affidare il comunicato al portavoce: lui stesso si mostra a noi senza vergogna, impacciato nel pronunciare una semplice parola, immobile in quel trono che è una carrozzella più lussuosa, bendato nel suo vestito bianco quasi fosse una mummia.
Non sta bene il Papa, e lo ripete ogni giorno chiedendo di pregare per lui.
Non sta bene il Papa, e ce ne siamo accorti anche noi quando, in udienza privata da lui lo scorso 22 maggio, non era riuscito a leggere tutto il messaggio ma stava lì, in mezzo a noi, a salutarci, personalmente, tutti e 70, a lasciarci, personalmente, il ricordo magico di una fotografia inginocchiati davanti a lui, Cristo sofferente.
Il Papa sta male e con lui sto male anche io.

domenica 21 settembre 2003

Malta ed ancora Malta

Ritorniamo da Malta con una carica di entusiasmo che non ha paragoni per via del fatto che ci siamo un po’ europeizzati, come ormai il nostro destino ci impone .
Europa.
Che cos’è la casa europea per noi trentenni di oggi?
Noi abbiamo il ricordo del muro di Berlino, del suo crollo nel 1989, di una Europa delle nazioni, delle frontiere. Nei tanti viaggi che abbiamo fatto negli altri stati del continente, abbiamo cambiato la moneta e ce ne siamo tenuta qualcuna di ricordo, nel portafoglio, oppure a casa.
Oggi l’Europa è un’altra cosa.

martedì 8 luglio 2003

Caro Natanaele,

Caro Natanaele,
ti ho visto per la prima volta questa sera, in fotografia, ma non per colpa della distanza che è tanta ma perché sono solo sei mesi che vivi dentro la mamma e ti possiamo vedere solo così.
Che emozione, comunque, che può donarci oggi la tecnologia: vederti a colori, in tre dimensioni. Ci mancano solo i vestitini, eppure sapere che sei dentro la cupola che ancora ti protegge e dentro la quale stai crescendo di giorno in giorno.
Ti vorreio raccontare, Natanaele, della faccia di quel medico che aveva detto alla mamma che non avrebbe avuto più bambini, e che tanto ne aveva già tre quindi… perché lamentarsi?
Vorrei raccontarti della faccia di tua mamma nel sentire queste orribili parole, e credimi, per quel che la conosco, è stato solo perché era in fase post operatoria altrimenti, ne sono sicuro, quel medico avrebbe imparato a volare, giù dalla finestra dell’ospedale.
Ti vorrei raccontare della ecografista, che dopo mesi di dolore, visitava la mamma dicendole di non lamentarsi non vedendo, distratta da altre cose, quello che succedeva in lei e che l’ha portata ad essere operata d’urgenza, ad essere privata di una tuba, a soffrire.
L’albero sano viene potato perché porti altri frutti
Potrei raccontarti tutto questo, Natanaele ma non riesco a farlo perché i miei occhi sono fissi sulla tua immagine fissa eppure mi parla così tanto di vita, di una vita che ha voluto fortemente esserci, che si è infilata nell’unica tuba disponibile ed ora è qui a cantare vittoria.
E sei tu che parli a me di tua madre che ti porta a spasso orgogliosa con la sua santità tipica di ogni mamma, sorridendo a chi le chiede “ma è il quarto figlio, lo volevate”, dispensando gioia a tutti ed il senso di vittoria che ogni vita porta con sé.
E sei tu che ci sei e che un giorno passerai davanti a quell’ospedale, con papà, mamma, Giulia, Nazareno e Nicolò…. E non avrai neanche voglia di fermarti perché la vita va sempre avanti, trionfa sempre, e tu sei già qui a dimostrarcelo.
Lo zio felice Giorgio

lunedì 24 marzo 2003

All’aereoporto sul sito del Movimento per la Vita

Mi è capitato spesso di viaggiare in questi giorni per incontrare i gruppi giovanili sparsi per l’Italia. Prendo spesso l’aereo che è un bel giocattolo capace di suscitare qualche forte emozione: peccato costi così tanto altrimenti, dopo l’atterraggio, lo riprenderei subito per sentirmi attrarre dal sedile ed affidarmi poi completamente a lui, inglobato in questo volo. Ricordo che un giorno qualcuno mi disse che nel viaggiare in aereo il momento più pericolo è la partenza o l’atterraggio. Voglio spiegarmi meglio: non ricordo quale dei due momenti è il più pericoloso, o uno o l’altro ed ancora adesso non ho più rincontrato quella persona per farmelo dire. A dir la verità non ho neanche più intenzione di farmelo dire perché preferisco rimanere nel dubbio perché nel caso fosse la partenza vivrei ognuno di questi momenti con massima attenzione e paura. Così la “fifa” è suddivisa equamente tra il decollo e l’atterraggio.
Ma di cosa voglio parlarvi oggi dopo questa breve premessa nazional popolare?
Andando spesso in aeroporto, per voli che durano massimo 1 ora e 25 minuti (Catania – Milano) capita spesso di dover aspettare il proprio volo anche per 15, 30, 60 ed a volte 180 minuti.
Che cosa fare in quei momenti di obbligata sosta nello Hub?
Di cose da fare ce ne sono tante.

lunedì 10 marzo 2003

I 9 mesi più belli della nostra vita

Gli amici di Genova mi invitano a parlare di Eutanasia, tema a me molto caro, sia agli insegnanti di religione della città ligure, sia al gruppo giovani che sta crescendo incredibilmente bene.
Adoro parlare di questo tema anche se, nelle mie conferenze, parlo più che altro di morte: la bellezza della morte, la sacralità della morte, la inevitabilità della morte. Mi faccio aiutare da alcuni brani rubati alla letteratura italiana: di Mario Biondi leggo la Morte del Poeta; di Giovanni Papini il capitolo XI del Libro su La Morte; dal Manzoni il brano della madre di Cecilia contenuto ne I Promessi Sposi. Ai nostri classici chiedo aiuto a Seneca al capitolo XI del De Tranquillitate Animi: vivrà male chi non saprà morire bene. Questa frase la leggo e la rileggo sempre e mi tormenta ormai da anni. Vi lascio questo tormento. Poi arrivo al tema dell’eutanasia facendo aiutare da Giorgio Ruffilli in La morte e l’Aids; da Elizabeth Kubler Ross (La morte è di vitale importanza) ed infine da Marie de Hennezel con “La morte amica”.

venerdì 28 febbraio 2003

Il sorriso della morte: il saluto ad Alberto Sordi

Finisce la partita della Roma e ci rechiamo al Campidoglio per compiere anche noi il rituale romano del saluto ad Alberto Sordi.
Siamo circa una decina, giovani, contenti che la “magica” ha incredibilmente trionfato sul Valencia in terra spagnola.
Con noi migliaia di persone, bambini ed adulti, molti dei quali di ritorno dai pub dopo aver visto anche loro la partita.
Ci mettiamo in coda.
Marco Aurelio ci osserva mentre scorriamo sotto il suo cavallo.
Uno schermo gigante proietta continuamente immagini dei film di Albertone.
“A maccarone, m’hai provocato? Ed io mo te magno.” Indimenticabile “Un Americano a Roma”.
Ed altri ancora.
La gente sorride, ride.
Qualcuno abbozza un applauso. Ci riprova.

martedì 18 febbraio 2003

I Pacifessi

I PACIFESSI
Sono un “pacifesso”, uno di quelli che non va di moda, uno di quelli che vuole la Pace sempre e non solo quando non ha panni stesi sul balcone.
Sono un pacifesso, uno di quelli che ha comprato la bandiera ma me la tengo in casa visto che in piazza ce ne erano tante altre, inneggianti a partiti politici o “rivoluzionari” che hanno interpretato la Pace a modo loro.
Sono un pacifesso, uno di quelli che non si fa le canne per non buttare via la propria vita, uno di quelli che guida la moto sempre col casco, che rispetta il codice della strada, le leggi, la vita mia e quella altrui.
Sono un pacifesso, sia che a sparare siano i russi che gli americani, sia che a cremare sia Hitler o Stalin, sia che a condannare a morte sia la Cina che l’America, sia che a morire siano i preti cattolici che i musulmani o gli ebrei
Sono un pacifesso perché a casa ho la bandiera con la foto di quel ragazzo di Tienamen, della mia età, che ferma da solo un carro armato ma… non la porto in giro….
Sono un pacifesso, uno di quelli che ha sempre manifestato per la Pace, in Italia e nel mondo, facendomi le lunghe camminate tra Perugia ed Assisi, ma mi incateno anche fuori dal Parlamento per difendere i diritti umani, primo di tutti quello a nascere.
Sono un pacifesso perché nel segreto della mia cameretta, la sera, rivolgo lo sguardo al mio Dio e chiedo a lui di venirci incontro e donarci la Pace perché con le sole nostre forze, purtroppo, a volte proprio non ce la facciamo.
Mi sento un pacifesso perché nel piccolo del mio quotidiano diffondo la Pace: in casa, al lavoro, in palestra, in discoteca e con gli amici e non lo sbandiero per le piazze solo quando va di moda o solo quando qualcuno mi raduna per un suo tornaconto.
Mi chiamano pacifesso ma mi va bene lo stesso.

giovedì 13 febbraio 2003

Nessuno lo ha chiamato Papà

Me li immagino, il 17enne e la 15enne, che vivono la loro storia d’amore, si “amano” come oggi è troppo facile, e forse d’obbligo, cominciare a fare da adolescenti e poi lei che corre in farmacia, si compra il test di gravidanza…. Lo riprova chissà quante volte col cuore che batte ed attaccata al cellulare con lui dall’altra parte che le dice: ma sei veramente sicura? Sì, è positivo… aspetto un figlio…. Me lo immagino il panico di quelle ore come se la possibile guerra in Irak fosse nulla, come se i morti per Aids fossero nulla, come se il passato superato coraggiosamente fosse nulla: che cosa sono tutti i mali del monto a confronto con una gravidanza indesiderata?