Ricerca Usa: il 38% di chi ha madri lesbiche chiede aiuto al sociale, il 12% pensa al suicidio. Pensano di più al suicidio, sono più spesso disoccupati e seguiti dall’assistenza pubblica, ricorrono più facilmente alla psicoterapia: una vita con maggiori difficoltà rispetto ai coetanei cresciuti da coppie eterosessuali sposate, quella dei figli di genitori omosessuali. Almeno secondo uno studio condotto da un ricercatore dell’Università del Texas e pubblicato in questi giorni dalla rivista 'Social Science Reserch'. Una ricerca che è stata già attaccata da più parti e definita imprecisa e non attuale. Di fatto lo studio di Mark Regnerus getta una nuova luce sulle coppie omosessuali e sui loro figli, contraddicendo decine di ricerche in cui si sostiene che madri lesbiche o padri gay avrebbero lo stesso impatto educativo sui figli rispetto ai genitori eterosessuali.
Le cose, a guardare i dati pubblicati dal 'Social Science Research', non starebbero proprio così: il campione intervistato da Regnerus (3mila giovani adulti tra i 18 e i 39 anni) denuncia significative differenze in termini di disagio sociale a seconda se i genitori hanno avuto relazioni omosessuali oppure se la crescita è avvenuta all’interno di coppie sposate eterosessuali. Ad esempio, il 38% dei giovani cresciuti con madri lesbiche fanno ricorso all’assistenza pubblica (contro il 10% dei coetanei figli di coppie eterosessuali). Il 28% è disoccupato (contro l’8%), il 20% ha sofferto di una malattia sessualmente trasmessa (contro l’8%), il 12% ha pensato di recente al suicidio (contro il 5%). La ricerca, dal titolo 'Structures Study', è stata impostata proprio per verificare le teorie secondo le quali non ci sarebbero differenze tra figli di coppie omosessuali e di coppie etero, molto in voga, ad esempio, tra chi incoraggia le cosiddette 'adozioni gay', o come oggi accade anche su impulso della Casa Bianca, i matrimoni tra persone dello stesso sesso. I risultati sono andati in una direzione diversa, tanto che lo stesso Regnerus si chiede se valga la pena «spendere un significativo capitale politico ed economico per supportare queste nuove ma rare famiglie, quando gli americani continuano a fuggire dal modello di genitori biologici eterosessuali sposati, di gran lunga più comune ed efficace e ancora, almeno a giudicare dai dati, il posto più sicuro per un bambino».
In Italia non esistono ricerche di questo tipo, assicura Rosa Rosnati, docente di Psicologia sociale alla Cattolica di Milano, mentre sono disponibili studi effettuati su bambini adottati (evidentemente all’estero) da coppie omosessuali. «Ma sono ricerche su gruppi molto piccoli e condotte a breve termine – afferma la Rosnati –. È ovvio che un bambino possa vivere con due genitori dello stesso sesso. Dal punto di vista biologico e psicologico, però, un figlio ha bisogno di un uomo e di una donna per crescere. Poi, certo, ci possono essere figure sostitutive, che assicurano buone relazioni. Ma un conto è ciò che è preferibile e un altro è la capacità di adattamento dell’essere umano».
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