mercoledì 13 giugno 2012

Figli più problematici se i genitori sono omosessuali

Ricerca Usa: il 38% di chi ha madri lesbiche chiede aiuto al sociale, il 12% pensa al suicidio. Pensano di più al suicidio, sono più spes­so disoccupati e seguiti dall’assistenza pubblica, ricorrono più facilmente alla psicoterapia: una vita con maggiori difficoltà rispetto ai coetanei cresciuti da coppie etero­sessuali sposate, quella dei figli di genitori o­mosessuali. Almeno secondo uno studio con­dotto da un ricercatore dell’Università del Texas e pubblicato in questi giorni dalla rivi­sta 'Social Science Reserch'. Una ricerca che è stata già attaccata da più parti e definita im­precisa e non attuale. Di fatto lo studio di Mark Regnerus getta una nuova luce sulle coppie o­mosessuali e sui loro figli, contraddicendo de­cine di ricerche in cui si sostiene che madri le­sbiche o padri gay avrebbero lo stesso impat­to educativo sui figli rispetto ai genitori etero­sessuali.

Le cose, a guardare i dati pubblicati dal 'Social Science Research', non starebbe­ro proprio così: il campione intervistato da Re­gnerus (3mila giovani adulti tra i 18 e i 39 an­ni) denuncia significative dif­ferenze in termini di disagio sociale a seconda se i genito­ri hanno avuto relazioni o­mosessuali oppure se la cre­scita è avvenuta all’interno di coppie sposate eterosessua­li. Ad esempio, il 38% dei gio­vani cresciuti con madri le­sbiche fanno ricorso all’assistenza pubblica (contro il 10% dei coetanei figli di coppie ete­rosessuali). Il 28% è disoccupato (contro l’8%), il 20% ha sofferto di una malattia sessualmente trasmessa (contro l’8%), il 12% ha pensato di recente al suicidio (contro il 5%). La ricerca, dal titolo 'Structures Study', è stata impostata proprio per verificare le teorie secondo le qua­li non ci sarebbero differenze tra figli di cop­pie omosessuali e di coppie etero, molto in vo­ga, ad esempio, tra chi inco­raggia le cosiddette 'adozioni gay', o come oggi accade an­che su impulso della Casa Bianca, i matrimoni tra per­sone dello stesso sesso. I ri­sultati sono andati in una di­rezione diversa, tanto che lo stesso Regnerus si chiede se valga la pena «spendere un significativo capi­tale politico ed economico per supportare queste nuove ma rare famiglie, quando gli a­mericani continuano a fuggire dal modello di genitori biologici eterosessuali sposati, di gran lunga più comune ed efficace e ancora, alme­no a giudicare dai dati, il posto più sicuro per un bambino».

In Italia non esistono ricerche di questo tipo, assicura Rosa Rosnati, docente di Psicologia sociale alla Cattolica di Milano, mentre sono disponibili studi effettuati su bambini adottati (evidentemente all’estero) da coppie omo­sessuali. «Ma sono ricerche su gruppi molto piccoli e condotte a breve termine – afferma la Rosnati –. È ovvio che un bambino possa vi­vere con due genitori dello stesso sesso. Dal punto di vista biologico e psicologico, però, un figlio ha bisogno di un uomo e di una don­na per crescere. Poi, certo, ci possono essere figure sostitutive, che assicurano buone rela­zioni. Ma un conto è ciò che è preferibile e un altro è la capacità di adattamento dell’essere umano». 



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