venerdì 24 ottobre 2025

Il vuoto creativo del Louvre

 Nei giorni scorsi, le cronache hanno raccontato di un audace furto al Louvre e ci abbiamo riso su per giorni grazie al fantastico mondo dei meme che si trovano in internet.

Oggi, i dati ci rivelano un paradosso: la teca più osservata del museo, dopo la riapertura, è proprio quella che custodisce… un’assenza. Dove prima scintillavano gioielli inestimabili, ora ci sono solo velluti logori e supporti metallici curvati a sorreggere il nulla. Eppure, la folla accorre, si accalca, punta il telefono verso quella teca vuota.

La Domanda è inevitabile: perché?

Perché siamo attratti dal luogo del delitto, dal segno lasciato da un evento traumatico? Certo, l’empatia per la vittima (in questo caso, l’opera d’arte) si mescola a una sottile fascinazione per l’audacia del “criminale”. Ma c’è molto di più.

È facile bollare tutto come l’ennesima follia da social network, dove l’importante è essere stati lì e averlo documentato. Eppure, credo che questo pellegrinaggio di massa nasconda un bisogno più profondo, quasi inconscio.

Quel vuoto nella teca non è solo uno spazio fisico. È diventato:

Uno Specchio. Un gioiello ci affascina con la sua perfezione materiale. Una teca vuota, invece, ci rimanda a noi stessi. Ci costringe a interrogare la nostra percezione: cosa c’era qui? Com’era fatto? Perché non l’ho osservato abbastanza? Quel vuoto diventa il riflesso dei nostri ricordi, delle nostre lacune, della nostra fragilità mnemonica di fronte alla bellezza data per scontata.

Un Santuario del Possibile. I gioielli rubati non sono più oggetti definiti. Sono sfuggiti alla teca, alla didascalia, alla loro fissità museale. Sono tornati ad essere un’idea, un mito, un’assenza che contiene infinite possibilità. Nella nostra epoca iper-saturata di immagini e presenze, l’assenza è diventata l’unico spazio di mistero e immaginazione autentici. Ognuno può immaginare quei gioielli più belli, più grandi, più splendenti di quanto non fossero in realtà.

Un Monumento all’Effimero. Andiamo a vedere la prova che nulla, neanche ciò che è ritenuto eterno e sicuro come un tesoro al Louvre, lo è davvero. Quel vuoto è una lezione di filosofia esistenziale: tutto può svanire. La solidità della teca di vetro è un’illusione. E noi, testimoni di questa scomparsa, cerchiamo forse di dare un senso alla nostra transitorietà attraverso la sua.

Alla fine, non facciamo la fila solo per un selfie. La facciamo per toccare con mano un paradosso: che a volte è l’assenza a dare più significato della presenza. Che la mancanza ci unisce più del possesso. Che un supporto di velluto senza il suo gioiello, raccontando una storia di perdita, ci ricorda il valore di ciò che abbiamo prima che svanisse.

Andiamo al Louvre per vedere il vuoto perché, in un mondo pieno fino a scoppiare, quel vuoto è l’unica cosa che, paradossalmente, ha ancora qualcosa da dire. È il silenzio più eloquente di tutto il museo, un silenzio da vivere e ammirare.


https://www.ilcentuplo.it/2025/10/24/in-coda-al-louvre-per-vedere-il-vuoto/

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