giovedì 16 ottobre 2025

La memoria delle Pietre

 L’ultima solenne assemblea di Sichem, al termine del Libro di Giosuè, si chiude con un atto di una semplicità disarmante e, al tempo stesso, rivoluzionaria. Dopo che il popolo ha riaffermato il suo impegno a servire il Signore, Giosuè prende una grande pietra e la innalza “sotto il terebinto, che è nel santuario del Signore”.

A questo punto, la frase chiave, quella che ci interroga oggi, irrompe nel testo:

Giosuè 24:26-27: “Poi Giosuè scrisse queste cose nel libro della legge di Dio; prese una grande pietra e la rizzò là, sotto il terebinto, che è nel santuario del Signore. […] Giosuè disse a tutto il popolo: «Ecco, questa pietra sarà una testimonianza per noi; perché essa ha udito tutte le parole che il Signore ci ha dette; essa servirà quindi da testimonio contro di voi, perché non rinneghiate il vostro Dio1».”

Una pietra può udire? Un albero può testimoniare? Certo che sì, se la loro funzione è incarnare la Memoria, la Stabilità e l’Inconfutabilità del patto umano con il Divino.

Per chi vive a Roma, questo concetto risuona con una profondità unica. Ogni giorno camminiamo su frammenti di tufo, travertino o marmo che hanno visto passare duemila anni di storia. Quante storie, quanti giuramenti, quanti tradimenti ha “udito” una singola pietra squadrata nel Foro? Non è un’esagerazione poetica, ma la presa d’atto che la realtà fisica è l’archivio immutabile della nostra storia.

La pietra di Sichem, eretta sotto il terebinto longevo, è un promemoria contro l’oblio e la leggerezza: “Siete stati qui. Avete promesso. Non potete dire di non sapere.”

Ma c’è, nella Roma contemporanea, una declinazione di questa “pietra testimone” che ci tocca nel vivo, portando con sé la bellezza del ricordo e il monito del dolore: sono le Pietre d’Inciampo (Stolpersteine), piccoli sampietrini d’ottone che, nel Ghetto e in altri quartieri, ricordano le vittime della deportazione nazista.

Queste non sono pietre imponenti. Sono piccole targhe, umili e lucide, poste dove vivevano coloro che sono stati strappati. Sono la memoria capillare che ci obbliga a fermarci, ad “inciampare”, a chinare lo sguardo e leggere un nome, una data, un destino.

Mia moglie Sara vi porta spesso noi e i suoi alunni, per farli “inciampare” nella verità della Storia sin dalle elementari!

La pietra di Sichem testimonia un patto di vita con Dio, ammonendo il popolo a non rinnegare la promessa di fedeltà. Le Pietre d’Inciampo, invece, testimoniano un patto di morte tradito dall’uomo, ammonendo l’umanità a non dimenticare l’orrore della persecuzione e la dignità rubata. Entrambe le pietre hanno la stessa forza morale: trasformano lo spazio fisico in spazio etico. Ci impongono di non scappare, di non far finta di niente. Se la pietra di Giosuè “ha udito le parole”, le Pietre d’Inciampo hanno udito i passi, le urla, e il silenzio assordante della Storia.

Come possiamo trasferire questa lezione nella nostra vita di fede?

Dove sono le tue pietre d’inciampo? Non solo quelle storiche, ma quelle interiori. I luoghi, i ricordi, le persone che ti costringono a fermarti e a riconoscere il vero: la promessa che hai fatto, la carità che hai omesso, il valore che hai trascurato.

E dove pianti il tuo terebinto? La nostra fedeltà non è un sentimento volatile, ma un’azione radicata. Se promettiamo di servire il Signore, la nostra “pietra” (il nostro lavoro, il nostro tempo, i nostri beni) deve essere eretta sotto il “terebinto” della comunità e dell’impegno, un albero che cresce lentamente, con radici forti che non temono la siccità.

Non temiamo la testimonianza silenziosa della realtà. Facciamo in modo che la materia della nostra esistenza – le nostre azioni concrete e i luoghi che abitiamo – non sia un monumento alla nostra ipocrisia, ma un altare di coerenza. Solo così potremo guardare le pietre sotto i nostri piedi senza timore, sapendo che esse confermano la nostra fedeltà.

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