Nomadelfia 15 novembre 2007
Presentazione di MI HANNO ACCOLTO CON UN ABBRACCIO
Abbracciamoci.
Io vengo a dire a voi, che siete l’emblema, la concretizzazione dell’abbraccio di Cristo, che cosa è un abbraccio?
Che cosa vuol dire abbracciare.
Dal dizionario della lingua italiana apprendiamo tre significati principalmente:
cingere con le braccia
(in sengo figurato) comprendere, contenere
(in senso figurato) seguire, accettare, dedicarsi a qualcosaQuesto mio libro, che ha luce a pochi giorni dalla ricorrenza dei 30 anni della Legge 194/78, “Norme per la tutela sociale della maternità e sulla interruzione volontaria della gravidanza”, parla di tanti abbracci, fisici, figurati ma reali, concreti e che hanno portato alla nascita di tanti bambini.
Diciamolo subito.
Da questo libro non ne esce bello e bravo, non ne deve uscire bello e bravo Giorgio Gibertini. Io, dal mio punto privilegiato di osservazione, ho solo raccolto quello che ho visto in tutti questi anni e, invece di dare alle stampe solo le testimonianze, ho voluto corredare il tutto con una storia, in parte romanzata, che facesse da filo conduttore.
Ed è la mia storia. Parte della mia storia e di quella di mia moglie Sara. Ed è la storia di Massimo, nostro secondo figlio, nato il 26 febbraio di quest’anno e che ha vissuto con noi tutta l’esperienza dalla quale prende inizio il libro.
Da questo libro escono belle e brave le volontarie dei Centri di Aiuto alla vita che ogni giorno, ogni santo giorno, districandosi abilmente tra il loro lavoro, le loro famiglie, e tutto quello che queste due “attività” comportano, dedicano il tempo ad accogliere le mamme in difficoltà che a loro si rivolgono e che hanno già portato a 100 mila bambini aiutati a nascere dai nostri Centri. Sono loro le protagoniste, ed i protagonisti perché vi è anche qualche uomo, di questo libro. Come dire, un libro che vede l’aborto dal punto di vista dei volontari per la vita.
Il primo abbraccio è per quelle madri vittime del sistema, vittime della Legge 194/78, vittime dell’indifferenza e che avremmo voluto abbracciare, violentando la loro privacy, il loro “diritto all’aborto”, diritto che non esiste ma che è sancito ormai dal malcostume dell’ideologia abortista. A loro, che ogni giorno, a decine, centinaia, si incolonnano dentro le sale operatorie dei nostri ospedali pubblici italiani, va il mio abbraccio, caloroso, vigoroso ed anche tutti quelli che non abbiamo avuto il coraggio, o la forza, o la sregolatezza di dare. Vi abbraccio mamme. 130 mila aborti all’anno, 370 al giorno, 14 ogni ora.
Poi c’è l’abbraccio di Sonia, che da il titolo a questo libro, e che è la sua testimonianza breve e bella, immediata, vera, giovane, come il tempo di un sms. Marta che indecisa se abortire o no entra al Cav di Viterbo, incontra Sonia, giovane, della stessa età, al suo primo giorno di volontariato. Le due ragazze si guardano, si capiscono al volo, piangono, condividono il pianto, si abbracciano e da quell’abbraccio nasce Mattia. Sonia non ha parole, quel giorno. Sonia ha solo un abbraccio per Marta. Sonia è la nostra protagonista, è la nostra volontaria. In questo gesto, in questa testimonianza, c’è tutto il succo del volontariato per la vita: l’abbraccio, il prendersi cura di qualcuno, il prendersi cura di qualcosa che è più grande di tutti noi, supera i confini, ed è il Mistero della Vita. Non tutte le vite sono così, diciamo, “facili da abbracciare” ma poi, che si tratti di un colloquio di cinque minuti o di intere settimane dietro un “caso” è sempre un abbraccio quello che le volontarie rivolgono alla madre, anche se a volte si esprime sotto forma di un aiuto economico, di tre litri di latte in polvere, di qualche pannolino o di una sistemazione in una casa di accoglienza per ragazze madri.
Il terzo abbraccio è quello di Raffaella, volontaria di Fano, e della bellissima storia di Marzia. Marzia esce da una storia di otto anni, incontra un giovane corteggiatore, cede, concepiscono un figlio ma sul più bello lui le rivela che da lì a qualche giorno si sarebbe sposato con la sua fidanzata ufficiale, che era un’altra, e la lascia da sola con l’altro figlio, Andrea. La nostra volontaria la accompagna e la segue in tutti i modi constatando che dietro a lei vi è una famiglia d’origine molto solida e le dice che ci siamo anche noi, sempre, comunque. E il bambino che aveva in grembo, c’era lui. Marzia però era decisa, atterrita anche dal pensiero del padre del primo figlio. Che avrebbe fatto? Come si sarebbe comportato nei confronti suoi e di Andrea? I suoi ragionamenti conducevano sempre verso un'unica direzione “non ho scelta, devo abortire”. Nell’ospedale della città dove ci trovavamo non c’era posto per l’ivg entro i tempi consentiti. Ma lei non si arrese e bussò alle porte degli ospedali vicini finché non trovò quello disposto a fare l’intervento fino all’ultimo minuto dell’ultimo giorno. Fece l’ecografia di rito ma il medico commise un errore, le disse che si vedeva già il sesso, era un maschio. Marzia in quel momento pensò a tutte le volte in cui il primo figlio Andrea le aveva chiesto un fratellino : “Però maschio me lo devi fare! Cosi ci posso giocare insieme….”.D’un tratto quello che era il frutto di un gioco, un malessere, un motivo di vergogna, di umiliazione era diventato persona, si era fatto “fratello”, il fratello che suo figlio aveva desiderato. Ci disse che era scesa dal lettino del medico e aveva detto che non voleva più alcun appuntamento.
“Andrea non mi avrebbe mai perdonato se avessi ucciso suo fratello”. Ed eccolo il fratellino con cui giocare e come ci piace pensare a questi due bambini che ora, mentre noi stasera siamo qui a parlare di questo “abbraccio”, stiano giocando assieme fors’anche tirandosi la pappa in faccia come fanno tutti i figli, i nostri figli. E’ straordinario o no? La sentite l’energia? Non vi sto parlando di storie, favole, leggende metropolitane: vi sto parlando della vita quotidiana, di una madre accanto ai suoi due figli, reali, dietro le finestre chiuse di una cosa di Fano.
Il pathos cresce col libro e si arriva al quarto abbraccio che è il grande abbraccio di Annapaola e di Mauro e di tutta la loro famiglia. La storia siamo noi. La storia la scrive le persone, che ci passano accanto, che ci vivono accanto e difatti, anche geograficamente parlando, siamo arrivati da queste parti, siamo arrivati a Follonica. Qui c’è, vive, opera, con le fatiche e gli equilibri quotidiani di cui dicevamo sopra, Annapaola, questa donna che molti di voi conoscono e che rappresenta tutte le nostre volontarie dei Centri aiuti alla vita. Annapaola è tipica maremmana: dolce e determinata. Ha due occhi che da soli, senza parlare, convincono a scegliere per la vita. Ha due occhi che due un abbraccio continuo. Ed io col mio libro ero obbligato da un senso di giustizia a raccontare queste persone che non hanno tempo per sprecare il fiato in tanti discorsi sull’aborto perché devono tenere tutte le energie necessarie per prolungare il filo della vita, quello che permette di moltiplicare il bene e raddoppiare le vite salvate solo raccontando di altre precedentemente salvate. Ed è quello che vuole fare anche questo libro, ovvero finire nella mani di una madre tentata d’aborto ed aiutarla a scegliere per la vita. Alle altre mani, agli altri occhi, di politici, medici, legislatori, questo libro spero che dica altre cose. Grazie Annapaola perché anche dopo la morte del caro marito, ed aiutante collaboratore instancabile per la vita, hai proseguito tutto in mezzo non ad un mare, ma ad una tempesta di problemi e quando dico tutto intendo dire hai portato avanti la tua famiglia, coi quattro figli, il tuo volontariato verso tutti quegli altri figli “adottivi” e verso noi, amici, figli, che viviamo nel tuo abbraccio.
Il quinto abbraccio è il capitolo che ho intitolato Non solo Cav e nel quale parlo di Nomadelfia, di voi, ma ci torneremo su in chiusura.
Il sesto abbraccio ci porta a Roma, da Miranda, generale di ferrea dolcezza che guida il Cav in zona Eur. “Promettiamoci che in questa città nessuna donna abbia a dire di essere stata costretta ad abortire”. Nella città di Roma ogni anno 13 mila aborti. Un solo Cav a contrastare questo Tsunami di morte. Qui racconto di tante storia quotidiane che viviamo in un Cav. Dovete sapere che anche io, dopo tanti anni di sole conferenza e cultura, ho deciso di partecipare attivamente ad un Cav per “sporcarmi le mani”, come si dice in gergo, per togliere la testa dai libri e capire veramente quale è il succo, la genialità, la specificità del volontariato per la vita. Vi è la testimonianza di una ostetrica in una notte di Natale. Due sale travaglio, una accanto all’altra, due parti di due figli gravemente malformati e destinati a morte sicura. La prima coppia che decide, nonostante la diagnosi, di portare avanti la gravidanza, di far nascere il figlio, di battezzarlo appena la sua testolina vede la luce e di accoglierlo, in quei pochi minuti di vita, nell’abbraccio di una moderna culla di Betlemme tra le lacrime di mamma e papà. Accanto, la stessa notte di Natale, un’altra coppia, che decide di eseguire un aborto terapeutico su quella bambina gravemente malata e non accolta e che nonostante l’aborto nasce viva, sopravvive, ma viene nascosta agli occhi dei genitori in un panno verde e per farla morire di stenti viene chiusa in un frigorifero. Anno due mila. Italia.
Col settimo abbraccio arriviamo ad uno dei miei salvataggi più belli. E’ capitato a me anche se, per esigenze del romanzo, i protagonisti hanno altri nomi ma va bene così, l’importante è che questo bambino è vivo e che magari un giorno possa ritrovarsi in queste pagine. E’ la storia di un salvataggio via mail, via posta elettronica, senza conoscersi, senza mai parlarsi neanche al telefono. Incredibile, ma vero. Tutto reale anche se dal mondo cosiddetto virtuale. Questa giovane ragazza mi scrive dicendo che vuole abortire per la terza volta, chiedendomi se è possibile: ha soli 20 anni. Seguono settimane di tentativi di dissuasione, di tentativi anche di un contatto telefonico, per farle sentire il calore della voce. Niente. Vuole solo emails. Con Sara, allora ancora fidanzati, scaricavamo trepidanti la posta elettronica ogni giorno, ogni attimo, per vedere se la ragazza madre aveva cambiato idea. Sembrava decisa ad abortire. Insistetti a scriverle, anche cosi, solo per farle sapere che c’ero. Lei apprezzò molto questo. Persino una volta mi scrisse che ero stato l’unico a continuare ad interessarsi della sua situazione. Forse fu questo seme d’accoglienza gettato nel suo cuore a farle maturare la scelta di tenere il figlio e me lo comunicò due mesi prima del matrimonio e per noi fu il più bel regalo, augurio, di nozze. Oggi, Internet, è un mondo dove dobbiamo essere presenti a tutti i costi. Basta poco. Bisogna esserci.
Altre storia come ottavo abbraccio, un capitolo su Giovanni Paolo, di cui non parlo perché è tutto scritto, e poi il nono abbraccio che vede protagonista la nostra Maria Luisa di Tor Lupara, periferia di Roma, che ci apre un altro capitolo di questo problema ovvero quello delle extracomunitarie. Oggi giorno, soprattutto nelle periferie delle grandi città, c’è questo problema che ha costretto anche le nostre volontarie ad attrezzarsi con materiale multi lingue. Donne, di ogni razza e religione, precarie nella vita e nel lavoro, sfruttate e che a causa della gravidanza rischiano anche il posto di lavoro ma che poi scelgono per la vita perché giunge loro il caldo abbraccio di Progetto Gemma, miracolosa invenzione che ha già “generato” 13 mila bambini. La solitudine, la paura, il lavoro, l’abbandono portano all’aborto. A volte, una piccola carezza economica, è quell’aiuto che ridà coraggio alla madre e che fa nascere bambini. Queste pagine parlano ai potenti, ai politici, per dire anche a loro che per salvare la vita umana basta poco, basta volerlo.
Decimo abbraccio è la storia inquietante di un aborto clandestino a Villa Gina. Ricorderete tutti che nel 2000 scoppiò il caso di questa Villa degli aborti clandestini e furono messi in carcere i medici di quella struttura che per aborti clandestini, fuori tempo massimo, si facevano pagare anche trenta milioni delle vecchie lire. Una nostra volontaria, che nel libro passa sotto il nome di Stefania, madre di quattro figli, di cui una adottata, mi ha raccontato e ci ha donato questa sua storia, del suo passato. Ora è sposata e presidente di un nostro Centro di aiuto alla vita da 11 anni seguendo proprio le parole di Giovanni Paolo II che nell’enciclica Evangelium Vitae si rivolge in modo speciale alle madri che hanno abortito chiedendo loro uno sforzo ulteriore per far sì che altre madri non compiano il loro stesso gravissimo errore. Ed è quello che fa Stefania e la sua testimonianza vale mille di questi libri, di queste parole. Con Stefania c’è una amicizia profonda. Per preservare sua madre da questo ricordo doloroso mi ha chiesto di cambiare il suo nome sul libro ma ci ha tenuto tantissimo a donarmi la sua storia ed è proprio da qui che sono partito per ricostruire tutto il libro e dargli compimento. Qualche settimana fa l’ho incontrato e le ho dato il libro. Sentite cosa mi ha scritto in un messaggio: “Ieri sera quando mi hai dato il libro ho provato un’emozione indescrivibile… come se tu mi avessi riconsegnato mia figlia tra le braccia e in quell’istante ho pensato “tutto è compiuto”. Con infinita riconoscenza Grazie di cuore.” Penso di poter dire, già da ora, nel mio cuore, in semplicità, che questo libro, anche fosse solo per questo, non è stato scritto invano.
Nomadelfia, il quinto abbraccio. Al centro del libro vi è un capitolo su di voi ma non voglio dirvi cosa c’è scritto perché le parole vere di don Zeno sull’aborto le conoscete a memoria e poi, grazie a Pietro, mi è stata donata la possibilità di pubblicare la poesia di Enrica di Nomadelfia dal titolo Non sarò mai vivo. Voglio dirvi del perché ho voluto, nel mio libro, un capitolo su Nomadelfia e non è perché anche voi, più di noi, siete, come ho detto, l’emblema dell’accoglienza: i vostri figli accolti, l’aria che si respira qui, lo testimoniano in ogni angolo ed ogni attimo. Ho voluto che nello stesso libro ci fossero il Movimento per la vita e Nomadelfia perché sono fiori dello stesso giardino ma soprattutto ho voluto, ho più che altro cercato, di restituire in parte tutto quello che mi avete insegnato, nella semplicità, in ogni nostro incontro. Dal primo incontro nel 2002 a Follonica Chiara, la vostra Chiara, mi ha seguito come un angelo, passo dopo passo, telefonandomi spesso, pregando per me ancora “più spesso” ed io non le avevo chiesto niente. Ci insegnate la gratuità dell’amore. Grazie. Da allora è stato tutto un crescendo di amicizia ed amore ricambiato sfociato nel bellissimo ed importantissimo corso di formazione svolto l’anno scorso a Roma ed in collegamento Radio con la vostra sede di Grosseto. Grazie Pietro, grazie Giancarlo e gli altri di Roma. Il tutto ha avuto sigillo indistruttibile col permesso speciale che ci avete concesso per poter battezzare nostro figlio Massimo a Nomadelfia Roma. Ed allora come non potevo parlare di voi visto che sono intriso di voi? Sono soddisfatto che nel mio libro ci siano assieme Mpv e Nomadelfia come lo sono nel mio cuore. E poi vedete, cari amici, oggi qui con me c’è un amico che incuriosito dalle pagine su Nomadelfia è voluto venire a conoscervi: nel mio piccolo contribuisco a diffondere questa “risposta”. Grazie Nomadelfia che ci siete perché è importantissimo che tutti sappiano che un’altra vita è possibile, che si può scegliere di vivere un’altra vita se si è stufi della propria e che qui è possibile non trovare una proposta ma la risposta.
Grazie
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