Auguri a nostro figlio MASSIMO... il nostro Piccolo Gladiatore!
Citazione
Discussione su YouTube - Massimo Gladiatore
Auguri a nostro figlio MASSIMO... il nostro Piccolo Gladiatore!
Citazione
Discussione su YouTube - Massimo Gladiatore
OGGETTO:
CONFERENZA STAMPA DI INAUGURAZIONE QUADRIENNO FIDIS
Carissima/o,
con la presente ti comunico che LUNEDI 23 FEBBRAIO 2009 alle ore 17
presso la SALA GIUNTA del CONI (CONI – Largo Lauro De Bosis
15 – Roma) inaugureremo il quadriennio Olimpico 2009-2012 della nostra Federazione
di cui sono il neo presidente.
Spero
tu possa intervenire perché presenteremo i progetti prossimi futuri che
riguarderanno l’attivazione della nostra Scuola di Formazione riconosciuta
anche dalla Regione Lazio, la rinascita del nostro mensile “Manager dello
Sport”, e tanti altri percorsi formativi volti allo Sport, all’Ambiente ed al Sociale
in cui saremo protagonisti.
Lo
Sport come strumento di educazione e come risposta al disagio giovanile che
percorre la nostra società sarà sempre uno dei fili conduttori del nostro
impegno.
Saranno
presenti molte autorità sportive nazionali legate al CONI ed anche tanti amici
Parlamentari che vogliono con noi continuare, od iniziare, una proficua
collaborazione.
Ti
aspetto.
Il
Presidente
Gibertini
dott. Giorgio
Accogliamo i bambini abortiti in un cimitero di Roma
In uno dei miei viaggio pro life per l’Italia giunsi tanti anni fa a L’Aquila dove visitai, e porto ancora nel cuore quei momenti, il Monumento ai bambini non nati curato in una zona del cimitero cittadino chiamata “il giardino dei bambini”. Il monumento raffigura una bianca Madonna senza volto con le braccia larghe e che accoglie tantissime testoline di bambini, anche loro senza volta. Dietro campeggia la scritta: ai 50 milioni di bambini ogni anno vittime dell’aborto. Una associazione per la vita locale, d’accordo col Comune, in convenzione assicura sepoltura e degne esequie ai bambini abortiti, o naturalmente o volontariamente.
Ricordo ancora i brividi e la commozione di tutto il gruppo nel sostare davanti a tantissime piccole croci ai piedi della Madonna, come piccoli bambini che tendevano le braccia verso quelle mamme che non sono state capaci di accoglierli.
Leggere oggi sui giornali che in un ospedale della capitale d’Italia sono stati ritrovati “feti malformati e resti umani” in un locale seminterrato, e completamente abbandonato, mi ha fatto riprendere nella memoria quei giorni e decidere di richiedere, ancora con più forza, che anche a Roma vi sia un monumento ai bambini non nati ed un luogo dove raccogliere le loro spoglie e dar loro giusta sepoltura.
La pessima realtà purtroppo supera l’immaginazione e nello scorrere la rassegna stampa su questo caso si legge dovunque la dichiarazione scioccante del direttore del Policlinico Umberto I di Roma: “Sono solo materiale didattico”.
Mi è rimasto il brivido per tutta la giornata a pensare a questa catalogazione che mi suona tanto negazionista dell’olocausto dell’aborto che ogni giorno si consuma nella nostra Italia e, nella nostra Capitale, per almeno 11 mila volte l’anno.
Materiale didattico? Mentre aspettavo i miei due figli non ho mai pensato a mia moglie come un contenitore di materiale didattico. E’ possibile usare ancora questi termini?
Prego per questi figli uccisi tre volte: dall’aborto, dall’oblio di quasi trenta anni in quel sottoscala e dall’antilingua che, per mistificare la verità, non ha neanche il coraggio di chiamarli per nome e di guardarli in faccia.
Quest’anno il Centro di cui sono presidente festeggia i suoi dieci anni e nell’invitare tutte le mamme a scegliere per la vita voglio anche invitare chi di voi, scultore, benefattore, volontario per la vita, voglia intraprendere con me il progetto di realizzare un Monumento ai bambini non nati in un cimitero di Roma. Chiedo al Sindaco di Roma la sua collaborazione nel far si che ogni bambino non strappato all’aborto nella nostra città possa trovare un piccolo lembo di terra dove essere accolto.
Giorgio Gibertini
Presidente Centro di aiuto alla vita di Roma
Roma, 12 febbraio
2009
COMUNICATO
STAMPA
OGGETTO:
GIORGIO GIBERTINI (PRESIDENTE
CENTRO DI AIUTO ALLA VITA DI ROMA):
BAMBINI UCCISI TRE VOLTE: DA ABORTO, ABBANDONO E ANTILINGUA.
REALIZZIAMO UN
MONUMENTO A BAMBINI NON NATI.
Vorrei dare, come succede in
altre parti d'Italia, degna sepoltura a quei bambini trovati abbandonati, si
dice anche da oltre 30 anni, in una stanza chiusa del Policlinico Umberto I di
Roma.
Inorridisco nel leggere le
cronache dei giornali che parlano di questi bambini uccisi tre volte:
dall'aborto, dall'abbandono e dall'antilingua.
Se la verità fa inorridire, basta
cambiarle nome. Ecco quindi che i poveri feti diventano “materiale per
didattica” o “rifiuti speciali”.
Propongo ad Alemanno, Sindaco di Roma, di realizzare assieme
in un cimitero romano il “Monumento ai bambini non nati” sotto cui seppellire
questi bambini.
Con grande gioia vi comunico che da Sabato sono il
Presidente della Fidis www.fidis.it Federazione Italiana Dirigenti
Sportivi.
Se volete collaborare ecco la nostra
mission
Giorgio Gibertini
L’Associazione ha lo scopo di elevare il livello culturale e
professionale di tutti gli operatori dello sport tramite una formazione ed un
aggiornamento permanente. Per raggiungere le suddetta formalità, l’Associazione,
più specificatamente potrà:
a) formare ed aggiornare i
propri associati e i terzi che operano nello sport e nel sociale sulle
principali normative, nei campi civilistico-fiscale, sanitario, assicurativo,
del lavoro e di quant’altro utile e necessario per una migliore
qualificazione;
b) patrocinare e tutelare gli
interessi dei propri associati e di quanti, operatori dello sport e del sociale,
ne facciano richiesta;
c) svolgere, compatibilmente
con i fini istituzionali, ogni attività diretta a sviluppare la propaganda dello
sport;
d) guidare, indirizzare,
organizzare, consigliare le associazioni affiliate su tutte le tematiche del
mondo sportivo;
e) divulgare
pubblicazioni varie inerenti lo scopo sociale;
f) organizzare seminari,
congressi, convegni, tavole rotonde e rassegne su vari temi inerenti il mondo
dello sport ed il sociale;
g) organizzare e svolgere
corsi per i propri associati ed i terzi interessati, anche come corsi
professionali per una qualifica di specifiche attività sportive e
sociali;
h) fornire gli strumenti
informativi per una corretta prevenzione
infortunistico-sanitaria;
i) sviluppare tutte quelle
iniziative in campo ecologico ed a difesa dell’ambiente, sia direttamente che
attraverso la collaborazione con altri enti;
j) instaurare rapporti con
Federazioni Sportive, Enti di Promozione Sportiva, Associazioni Benemerite,
Associazioni e Società Sportive, Gruppi ed Organizzazioni di ogni tipo, che
abbiano finalità sportive, sociali ricreative e tutela dell’ambiente.
L’Associazione potrà, infine, attuare ogni altra
iniziativa necessaria ed utile al fine del conseguimento dell’oggetto
sociale.
Tali scopi vengono attuati avvalendosi della competenza
professionale dei maggiori esperti italiani e stranieri del settore, di
comprovata qualificazione ed esperienza.
La costituzione dei Comitati Regionali muove, infine, dall’esigenza di
fornire una più agevole risposta alle richieste provenienti dalle realtà
sportive locali presenti su tutto il territorio nazionale.
La presenza di un Comitato FIDIS in ogni Regione, ci permette infatti di
assolvere in maniera sempre più puntuale e capillare alla notevole mole di
attività attraverso il loro decentramento.
MA ORA NON SI PUÒ CHIEDERE IL SILENZIO
di Mario Giordano
E adesso chiedono il silenzio. Ma certo: che resta ancora da dire? Eluana va a morire e la morte si deve tacere. Non si deve raccontare. La morte non è chic, stona un po’ con l’eleganza dei pensieri vip. Una morte di fame e sete, poi. C’è qualcosa di più terribile, c’è qualcosa di più straziante? C’è qualcosa che stride di più con la cipria del conformismo? E allora avanti: tutti a chiedere di calare il sipario, di stendere un velo, di rispettare il riserbo. In fondo la battaglia è vinta, no? Il principio è stabilito: ora in Italia si può morire per legge. L’eutanasia è arrivata per via giudiziaria. Che altro si deve aggiungere? Niente. C’è una ragazza che muore, c’è una ragazza che viene uccisa, ma questo è un particolare. Non si deve dire. Non si deve far sapere. Non più. Avanti con il prossimo caso. E intanto ricordatevi: tutti al Cafonal del sabato sera. Magari in viola, ma solo perché fa trendy. Guai a chi parla ancora di Eluana e di morte, però.
Il Tg de La7 annuncia di aver staccato «la spina dell’informazione». L’Unità pubblica a tutta pagina il titolo rosso «Silenzio» (e la foto illustra il gesto eloquente di chi chiede di tacere). «Silenzio per Eluana», dice l’editoriale Europa. «Silenzio per Eluana» chiedono le parlamentari del Pd Livia Turco e Barbara Pollastrini. «Cresce il partito del silenzio», strilla il Corriere. «Adesso silenzio», concorda il Riformista. «È il momento del rispetto», fa eco da destra il Secolo d’Italia. E forse sarò il solito controcorrente, ma in mezzo a tutti questi che invocano il silenzio, a me, oggi, è venuta una grande voglia di urlare.
Ma sì, non si può tacere di fronte a quello che sta accadendo a Udine. Non si può. Non più. Scusatemi, ma l’hanno voluto loro. Hanno fatto di Eluana un caso, hanno fatto di Eluana un emblema. Sono andati a prenderla nella sua stanza di Lecco, dove da anni le suore la curavano amorevolmente, in silenzio (loro sì), nel riserbo (loro sì), con rispetto (loro sì). L’hanno portata in giro come una bandiera, l’hanno esposta come un labaro o uno stendardo. Hanno sbattuto la sua vita in pasto ai tribunali, hanno messo la sua esistenza nelle mani dei giornali. Hanno fatto di una sofferenza privata un caso pubblico, di un dramma personale una questione nazionale. E adesso, dopo anni di riflettori accesi, e interviste a settimanali e tv, dopo anni di talk, dibattiti, forum, libri, ospitate, Bruno Vespa, Fabio Fazio, Maurizio Costanzo Show, adesso ci chiedono il silenzio? Con che coraggio?
Ancora ieri il papà di Eluana era in tv, intervistato a Porta a Porta. E ancora ieri era intervistato sui quotidiani. A Repubblica ha detto che sua figlia è un «simbolo». Ecco: se ha accettato che sua figlia diventasse un simbolo, se ha fatto di tutto perché sua figlia diventasse un simbolo, ora non può chiedere il silenzio. Non può chiedere il riserbo. Non si può essere simboli nel silenzio e nel riserbo. E forse è vero, come diceva ieri alla Stampa, il medico Mario Riccio, quello di Welby, che nei reparti di rianimazione degli ospedali, senza che nessuno se ne accorga, «si stacca la spina 18mila volte l’anno». Forse è vero. Anzi, sicuramente è vero. È la coscienza dei medici, l’intesa coi parenti, spesso un tacito consenso, un gesto pietoso e condiviso.
Ma Eluana non fa parte di quei 18mila. Eluana non muore per un tacito consenso o per un gesto pietoso. Muore per una sentenza che, di fatto, sostituisce una legge. E questo perché, da un certo punto in avanti, è stato deciso (mica da noi, mica dai giornali brutti e cattivi, mica dall’informazione dei soliti sciacalli) che lei diventasse un simbolo. Un caso. È stato deciso che la sua tragedia privata diventasse vicenda pubblica. Hanno voluto spremere il suo corpo inerte, hanno voluto ricavarne un distillato universale, un principio valido per tutti, un diritto scolpito dalla giustizia dentro la nostra storia e dentro le nostre coscienze. Non per esaudire la sua volontà, come è stato detto. Piuttosto, per forzare la nostra. Per costringerci, attraverso la pietà umana, ad aprire le porte a provvedimenti che sono e resteranno disumani.
Per questo non si può tacere di Eluana. Non più. È troppo tardi, è troppo ipocrita ora. L’abbiamo seguita fra i decreti e le corti, fra i palcoscenici dei tribunali e quelli della Tv: ora bisogna seguirla nell’ultimo tratto, bisogna raccontare minuto per minuto quello che accade dentro quella stanzetta, bisogna salire passo dopo passo il suo calvario che diventa il nostro calvario. Bisogna guardare in faccia Eluana fino all'ultimo. Anche se sarà duro. Anche se sarà meno chic di un articolo di Adriano Sofri, che in questo caso non vuole parlare di omicidio, lui che se ne intende. Anche se saremo sconvolti come il medico che l’ha accompagnata da Lecco a Udine in ambulanza e ora dice: «Non sarò mai più lo stesso». Bisogna parlarne ancora, bisogna dire tutto, perché Eluana è diventata un simbolo, come dice suo papà. E in quanto simbolo, inevitabilmente, vive sotto gli occhi di tutti e muore sotto gli occhi di tutti. Ma forse è proprio questo che fa paura, forse è proprio per questo che si chiede il silenzio: perché un conto è sopprimere un simbolo (morto un simbolo se ne fa un altro), un conto è sopprimere una vita. E accompagnando Eluana sino all’ultimo istante, raccontando i suoi giorni di agonia, c’è il rischio di rendersi conto che lei è molto più di una battaglia, molto più di una bandiera, molto più persino di una storica sentenza. Lei è semplicemente una persona.
L'ambulanza con a bordo Eluana
Englaro e' arrivata alla clinica 'La Quiete' di Udine qualche minuto
prima delle sei di questa mattina, dopo un viaggio notturno. A Lecco,
davanti alla clinica da cui Eluana e' partita, ci sono
state proteste di aderenti di associazioni contrarie all'esecuzione
della sentenza, che si sono stesi sul cofano dell'ambulanza per
impedire la partenza. Una situazione sbloccata dall'arrivo della
Polizia. Ad attendere la donna in stato vegetativo, una selva di
giornalisti. Nella struttura, dovrebbe consumarsi l'ultimo capitolo per
Eluana, in coma da 17 anni, con la sospensione dell'alimentazione e idratazione forzata.(Afv/Gs/Adnkronos)
"Se ci verrà chiesto siamo disposti ad accogliere Eluana
in una struttura pubblica”. Nel novissimo dizionario della
postmodernità laicista, ricordiamoci che “accogliere” si traduce
“provocare la morte per fame e per sete”. Prendiamone nota, perché
altrimenti le parole del presidente della regione Piemonte, Mercedes
Bresso, estrapolate tra cinquant’anni dal contesto che le ha prodotte,
rischierebbero di essere fraintese. Rischierebbe di essere frainteso
anche il giurista Amedeo Santosuosso, che al Corriere della Sera parla
di “diritto alla salute”. Per Eluana, dice, quel diritto “ora consiste
nella sospensione di nutrizione e idratazione”. E’ chiaro? Da questo
momento, quando sentiremo parlare di “diritto alla salute”, dobbiamo
sapere che può voler dire: “Far morire di fame e di sete una persona
che ha bisogno di acqua e cibo per vivere”. Come chiunque, del resto.
Nel novissimo dizionario postmoderno leggiamo anche
che la fine comminata per fame e per sete a una disabile in stato
vegetativo persistente – il cui corpo testimonia da diciassette anni un
inequivocabile attaccamento alla vita – diventa, nella forbita
argomentazione dell’illustre avvocato Carlo Federico Grosso, l’“epilogo
ormai logico e naturale”. Ecco, va fatta la massima attenzione: c’è un
nuovo significato di “naturale”. Eluana sarà accompagnata alla “morte
naturale”, ha scritto Piero Colaprico su Repubblica; faceva eco al
padre di Eluana Englaro, Beppino, quando chiedeva che Eluana
riprendesse “il suo cammino della morte naturale, interrotta dalla
rianimazione e dalle terapie forzate”. “Morte naturale”, prendiamo
dunque nota, è la morte per fame e per sete. Eluana non può mangiare e
bere da sola – come un neonato, come qualsiasi grave disabile – e
dunque poche storie: nutrirla e dissetarla significa ostacolare il
naturale corso degli eventi.
Ma siamo davvero incorreggibili: ci ostiniamo a
chiamare Eluana “disabile”. Eppure la bioeticista animalista Luisella
Battaglia ha scritto che la donna è stata indebitamente “promossa” a
disabile da Eugenia Roccella. Non è una disabile, semmai è
“diversamente viva”. A quando “post persona”? Questione di tempo, non
c’è fretta. Il novissimo dizionario della postmodernità eutanasica sa
il fatto suo. Dedica pagine e pagine alla parola “libertà”, da sola o
in opportuna compagnia di “diritto”. “Per la libertà di Eluana”, ovvero
per la sua morte procurata per sete e per fame, era lo slogan della
manifestazione radicale a Lecco, sabato scorso. Quella culminata con la
consegna delle diciassette rose (una per ogni anno passato dalla donna
in stato vegetativo) a Beppino Englaro, come anticipazione o in
sostituzione delle corone funebri. Il ritardo nel comminare quella
morte, e l’atto di indirizzo del ministro Sacconi che ricorda alle
strutture sanitarie la loro funzione, diventano così “lesione di un
diritto”. Dei “diritti di un padre, che dopo aver sofferto per
diciassette anni, si vede adesso sballottato da una istituzione
all’altra. E da una interdizione all’altra”, si indigna la solita
Bresso.
Ha spiegato il dottor Mario Riccio, quello che ha staccato il respiratore a Piergiorgio Welby:
“Non sono i medici che mancano al padre di Eluana, ma la struttura.
Seppure non collegare il sondino alla sacca per l’alimentazione e
l’idratazione è, nei fatti, un atto più semplice che staccare il
respiratore e sedare il paziente, come è avvenuto per Welby, la
situazione è più complessa. Si tratta infatti di non prescrivere la
sacca per quindici-venti giorni di seguito”. Non “un unico atto attivo,
ma un atto passivo ripetuto per molti giorni”. E’ la famosa “morte
naturale”, l’“epilogo naturale” della scandalosa vita di Eluana, è il
“protocollo operativo di distacco dell’alimentazione artificiale” che
la clinica Città di Udine aveva predisposto con ogni cura. Loro erano
certamente disposti ad “accogliere” Eluana (vedi sopra per la vera
traduzione) ma poi è intervenuto Sacconi e il protocollo operativo a
cura dei volenterosi volontari per la libertà di Eluana ha subito
ritardi.
Nel dizionario non mancano la “volontà di Eluana”,
la sua “autodeterminazione”: traduzioni certificate da sentenza di
quello che altri dicono di lei (“di fatto, Eluana continua a non vedere
rispettata la propria volontà”, dice il neurologo Defanti). Si
comprende l’impazienza della curatrice speciale: “Siamo sempre pronti a
valutare qualunque disponibilità purché non rappresenti ulteriore
perdita di tempo”. Cercasi volenterosi esecutori di sentenza di morte.
Astenersi perditempo. C’è in programma la “morte dignitosa” di Eluana
Englaro. Basta ricordarsi che “dignità”, nel novissimo dizionario della
postmodernità eutanasica, significa soppressione di un disabile, per
fame e per sete.