domenica 6 novembre 2011

Il frigorifero aperto: presentazione Tesi in Musicoterapia di Sara Orsini

Presentazione tesi di Sara Orsini 
“Il frigorifero aperto”: questo è il sottotitolo che ho scelto di dare alla mia tesi perché intorno a questo episodio, avvenuto qualche anno fa quando stavo già portando avanti un mio progetto musicoterapico, ruota tutto il mio lavoro. 
L’immagine del “frigorifero aperto” ci aiuta meglio a capire il disagio che vivono i bambini africani residenti in Italia. Questo disagio è figlio di problematiche sociali, a volte psicologiche o di sviluppo ma quasi sempre è un disagio ambientale perché l’Africa è un continente dai grandi spazi dai grandi ambienti (natura rigogliosa, grande spiritualità, grande umanità). Qui in Italia ed in Europa invece questi bambini incontrano solo spazi ridottissimi nelle nostre città, comunità, case. 
Per questo motivo la mamma di alcuni dei bambini africani che ho seguito mi ha spiegato che i bambini in particolare soffrono a causa di questi spazi ridotti, diventano claustrofobici: questo provoca in loro un desiderio, una ricerca di spazio, di aria. 
Ho potuto anche i notare questo fatto durante lo svolgimento del progetto musicoterapico. I bambini che ho seguito, quando si trovavano a casa diventavano insofferenti a tanta limitatezza degli spazi e cominciavano una ricerca spasmodica di spazio e non trovandolo in nessuna delle stanze si recavano quasi disperati al frigorifero, lo aprivano provando a vedere se li si fosse nascosto il respiro che a loro mancava. 
Facendo ancora un passo in dietro , prima di introdurvi il percorso musicoterapico devo spiegare come è nato questo mio progetto. 
Dopo aver frequentato i 4 anni del corso di musicoterapia ho avuto l’occasione di trascorre un anno in Africa. Nel particolare ho vissuto tra il Tanzania ed il Kenya, avevo la residenza ,in un Compand all’interno di una baraccopoli di Dar es Salama. Ho condiviso la casa con altre tre ragazze: due del Tanzania ed una del Kenya. A Dar es Salam ho svolto il lavoro d’insegnante, in una scuola molto povera soprattutto in una classe di trenta bambini (15 femminucce e 15 maschietti), di età compresa tra i tre ed i sette anni. 
La lingua nazionale del Tanzania è lo swaihli ma a scuola viene anche insegnato l’inglese; la lingua che io ho studiato a scuola è il francese perciò le nostre lezioni si avvalevano soprattutto dei linguaggi non verbali: comunicavamo attraverso l’uso di canzoni, suoni, con il corpo. 
Inoltre un giorno la settimana ci vedevamo con un gruppo di Masahai, una popolazione indigena del Tanzania che vive ancora in una condizione primitiva (almeno secondo i nostri metri culturali) e che comunica solo con la sua lingua tradizionale. I membri di queste tribù non sono registrati all’anagrafe, non sanno né leggere né scrivere, si cibano di ciò che trovano nella savana. Con questo gruppo sono riuscita ad avere un rapporto di fiducia tale che li ha portati ad esprimere, attraverso cerimonie canti e danze, la loro cultura e il loro spirito. 
Terminata questa mi esperienza in africa ho deciso di utilizzare ciò che avevo appreso e capito del popolo Africano applicandolo nel mio lavoro con i bambini Africani che vivono in Italia. 
Lavorando con loro mi sono resa conto da subito che molti bambini africani che vivono in Italia, a causa di svariati motivi presentavano diverse difficoltà e disagi. Lavorando con loro in Africa invece avevo potuto constatare che tutti i bambini presentavano una forte predisposizione al canto alla musica ed alla danza e per questo la musicoterapia poteva essere soprattutto per i bambini uno strumento di affermazione di supporto e terapico fondamentale. 
La mia tesi è sviluppata in tre parti, nella prima c’è un’analisi ed una descrizione di quanto, come e quando è utilizzata la musica in questa parte dell’Africa, il significato della musica per questo popolo e quello che il suono e la danza producono in queste persone. 
Nella seconda parte invece ho portato l’esempio di un gruppo di bambini africani che vive da qualche tempo in Italia, con loro ho condotto incontri mensili, proponendo ascolti, attività pedagogico-musicali ed attività di vario genere. 
L’ultima parte ho ricostruito il percorso musicoterapico vissuto e realizzato in particolare con due bambini africani che manifestavano disagio: una bambina che aveva problemi di disadattamento e di complesso di inferiorità ed un bambino che presentava problemi di iperattività e dislessia. 
Il nostro percorso è stato costituito dalla osservazione effettuata durante i laboratori con i bambini, da un’analisi pedagogica sociale, degli obiettivi raggiunti nei due diversi momenti. 
L’analisi di quanto un ambiente sociale e culturale di un certo tipo possa influire sullo sviluppo armonico della persona e di quanto determinate caratteristiche di un popolo possano considerarsi più o meno armoniche in rapporto allo sviluppo dell’identità globale di una persona. 
Infine ho analizzato le problematiche socio-psicologiche rilevate durante i laboratori e le proposte operative per il rafforzamento dell’autostima ed il superamento delle difficoltà, dimostrate dai bambini, nella socializzazione e nella autodeterminazione. 
In questo progetto ho potuto verificare come i bambini Africani spesso provano disagio o addirittura vergogna nel rivelare le loro origini. 
Durante i miei laboratori ho potuto constatare anche grazie al supporto della psicologa che ha supervisionato i nostri incontri che i bambini africani spesso mostrano problemi a livello di sviluppo psico-sociale e relazionale. 
Le cause delle problematiche mostrate dai bambini possono attribuirsi sia alla loro situazione economica sociale ma anche a quella storico culturale.. 
Nel particolare Agrinh, la bambina che ho seguito che presentava problemi di socializzazione e di complesso d’inferiorità, da subito ha manifestato forte sensibilità musicale e vocale, anche propensione alla danza dove mostra importanti stereotipi riconducibili alle caratteristiche culturali del popolo africano (pur non avendo mai trascorso lunghissimi periodi in Africa). 
Da subito Agrinh negli atteggiamenti e nelle relazioni all’interno del gruppo ha manifestato una continua ricerca di consensi da parte mia e di tutti gli altri. Il complesso d’inferiorità è un pericolo al quale può essere esposto ogni bambino; è sempre necessario mettere a confronto il senso comunitario posseduto con la qualità sforzo per valere e prevalere sugli altri. Il senso d’insicurezza e d’inferiorità dipende soprattutto dal modo di vedere che è proprio del bambino. Qualora il senso d’inferiorità fosse particolarmente grave, vi è il pericolo che il bambino nell’ansia di non poter fronteggiare la sua vita futura non si accontenti della semplice compensazione generando atteggiamenti di eccentricità diventando invadenti e disturbatori. 
Mourad invece, l’altro bambino che ho inserito nella mia tesi, come ho già accennato, presentava all’inizio dei nostri incontri una marcata iperattività e dislessia. 
L’iperattività è dovuta ad una disfunzione delle informazioni a livello dei neurotrasmettitori. Caratteristiche tipiche dell’iperattività potrebbero confondersi per i caratteri di un bambino capriccioso ma in realtà egli non riesce a controllare il suo comportamento, non manca di buona volontà ma la continua disattenzione gli crea difficoltà di apprendimento. 
Il mio impegno è stato soprattutto nel cercare di riuscire a canalizzare le sue energie in attività che lo gratificavano e soddisfavano. Ho proposto come attività per far fronte alla dislessia filastrocche e dinamiche ritmiche; è stato importante per Mourad sperimentare attraverso se stesso. 
Così ho inserito Mourad e Agrinh in un gruppo di coetanei che presentavano difficoltà molto meno evidenti ed ho proposto loro attività mirate al superamento delle problematiche sopra elencate. 
Le attività erano di tipo pedagogico e didattico ma tutte ovviamente erano caratterizzate dall’uso di strumenti, musiche e movimento. 
Posso dire che questo lavoro sia per me che per i bambini che hanno collaborato è stato altamente formativo, ci siamo “addomesticati” come il piccolo principe e la volpe: io ho conosciuto ed apprezzato loro, e loro si sono lasciati affascinare e coinvolgere dalle mie proposte. 
Dopo diversi anni che pratico questo laboratorio, non sono in grado di fare un postulato secondo il quale dichiaro che la grande predisposizione alla musica, alla danza, al canto, al ritmo..sono caratteristiche innate, inscritte nei cromosomi del popolo Africano, sebbene i bambini abbiano sempre corrisposto alle mie proposte musicali in maniera creativa e pertinente; ma posso confermare quello che i miei insegnanti del corso di musicoterapia mi hanno sempre trasmesso, cioè che il primo contatto con il mondo esterno per ciascun uomo è il suono del cuore e della voce armoniosa della mamma, è questa la nostra prima relazione sociale con gli altri. La predisposizione al produrre suoni, alla danza, al canto, al ritmo pertanto è una caratteristica innata per ciascuno di noi. Nel caso di relazioni terapeutiche e non l’utilizzo della musica per “facilitare l’attuazione di progetti d’integrazione spaziale temporale dell’individuo … con un lavoro di sintonizzazioni affettive” non può che avere sempre, con ciascun individuo un riscontro positivo. 
Tutto il lavoro che io ho fatto prima in Africa e poi in Italia è stato basato sulle “sintonizzazioni”. 
L’unico modo che avevo per comunicare con gli altri erano le sintonizzazioni empatiche perchè nei primi tre mesi che ho vissuto in Africa non riuscivo a capire nulla in quanto non conoscevo la lingua e la cultura del posto, pertanto ho comunicato con loro solo attraverso la gestualità, i movimenti, le espressioni, ed i suoni. 
Per questo quando poi ho intrapreso la relazione con i bambini Africani in Italia ho cercato di stabilire di nuovo un rapporto partendo dalle sintonizzazioni. 
Stern afferma essere il fondamento di qualsiasi modalità di comunicazione non verbale. Il pensiero di Stern sottolinea anche che il concetto di sintonizzazioni si differenzia da quello di “empatia”. 
Le sintonizzazioni avvengono quasi automaticamente, in gran parte al di fuori di ogni consapevolezza. Si tratta, quindi, di una comunicazione di tipo non verbale che permette a due persone coinvolte in un rapporto di scambiarsi reciproche informazioni sul proprio esperire psichico-fisico. La comunicazione è nata grazie al desiderio di ciascuno di sintonizzarsi e di creare un rapporto empatico . 
Quando mi sono resa conto che due bimbi del gruppo manifestavano problematiche rilevanti, ho provato a fare con loro incontri musicoterapici individuali ma dopo qualche laboratorio ho valutato che fosse più opportuno continuare a lavorare all’interno di un gruppo. Come ho già detto seppure storicamente sono passati secoli dalla colonizzazione del continente africano, dallo sfruttamento e dalla sottomissione, ma sembra che le ferite verso questo popolo non si possano rimarginare, in questo mio lavoro ho potuto tastare con mano come sia gli africani che vivono in Italia come quelli che vivono in Africa, vicino all’uomo bianco, ogni qualvolta si trovano in relazione con lui hanno una sorta di sottomissione di venerazione, quasi un senso di inadeguatezza; ho visto che la mia proposta di laboratori individuali veniva percepita come un giudizio, si erano sentiti di nuovo inadeguati...anche se nel del gruppo c’erano altri bambini africani. Per questo posso dichiarare che i migliori obbiettivi del mio lavoro siano stati raggiunti grazie al lavoro in gruppo, sicuramente con loro mi sono resa conto di quanto si possa arrivare più in alto quando non si è soli, con il dialogo sonoro, l’espressione libera della voce dei suoni del proprio corpo e di quello del compagno, le imitazioni di ogni genere. Sicuramente con il nostro lavoro siamo riusciti a superare le barriere del pregiudizio che ciascuno di noi si porta dentro anche se sono difficili da ammettere e da riconoscere come tali, tutti i bambini alla fine del primo percorso manifestavano una nuova sintonia con il proprio corpo, con i suoni e con la voce, non erano più inibiti e manifestavano il desiderio di esprimersi con i suoni. 
Agrinh e Mourad hanno preso coscienza delle loro difficoltà ma in diverse occasioni hanno manifestato non più il disagio legato ai loro problemi ma piuttosto la presa di coscienza delle loro difficoltà la conseguente ricerca di aiuto senza inibizioni ed il desiderio di andare avanti. 
Molto significativo è stato quando durante un laboratorio Agrinh si trovava a condurre un improvvisazione musicale prima con gli strumentini poi con il corpo e con la voce e dopo qualche sguardo che chiedeva aiuto qualche mio input si è lasciata andare dando vita ad una vera e propria festa africana piena di vocalizzi danze e suoni coinvolgendo anche tutti gli altri. Anche Mourad ha dato prova di crescita più volte, con lui particolarmente belli sono stati i laboratori nei quali gli abbiamo chiesto di preparare percorsi sonori aiutare poi gli altri a farli ed organizzare poi una piccola orchestra. 
Sono partita per l’Africa dopo aver frequentato il corso di musicoterapia, aver fatto il tirocinio e diverse esperienze da osservatore in laboratori musicoterapici ma certamente l’esperienza più forte di sintonizzazione e di armonizzazione musicoterapica l’ho fatta lì nel cuore dell’Africa. Mi sono trovata in un paese che non conoscevo dove si comunicava con una lingua sconosciuta, unica bianca tra milioni di neri, eppure ho capito tutto e loro mi hanno capita, abbiamo collaborato, lavorato, creato. Lo strumento che più mi ha supportato in questo anno Africano è stata la musica, il suono che non comunicava perché corrispondeva ad un concetto che conoscevo per la tonalità , il ritmo, la postura i gesti. 
Da qui è nata la mia analisi e la mia ricerca per valutare se queste qualità musico-comunicative fossero innate in persone appartenenti a questo splendido popolo e se fosse maggiormente terapeutico un intervento musicoterapico su bambini Africani che vivevano in Italia. La predisposizione degli Africani per la musica è una qualità indiscussa, con loro qualsiasi attività musicale ho intrapreso in Italia e in Africa è stata un successo. Il lavoro musicoterapico con i bambini Africani che vivono in Italia ha portato a risultati importanti e significativi, valutabili anche con obiettivi concreti: Agrinh ora ha due amiche scelte da lei e con loro a volte discute anche per far valere la sua idea; Mourad a scuola riesce a seguire molto di più le lezioni e a portare a termine le attività che autonomamente ha iniziato a fare. La musicoterapia è stata definita “una tecnica mediante la quale varie figure professionali, attive nel campo dell’educazione, della riabilitazione e della psicoterapia, facilitano l’attuazione di progetti d’integrazione spaziale, temporale e sociale dell’individuo, attraverso strategie di armonizzazione della struttura funzionale dell’handicap, per mezzo dell’impiego del parametro musicale; tale armonizzazione viene perseguita con un lavoro di sintonizzazioni affettive, le quali sono possibili e facilitate grazie a strategie specifiche della comunicazione non verbale d’intervento” ed è questo che è accaduto nel mio laboratorio, non senza difficoltà, disagi ed imprevisti di vario genere ma sicuramente con una forte passione e desiderio di investire in qualcosa di veramente valido. Nonostante il mio lavoro non sia nato con il fine esclusivo di fare terapia ho potuto, nelle diverse situazioni, rendermi conto di quanto fosse fondamentale per creare relazioni di qualsiasi tipo sintonizzarmi con il supporto del suono e della musica, con chi avevo di fronte e che se la relazione non era solo tra due persone ma anche con un gruppo, l’armonizzazione era sicuramente l’obiettivo che avrebbe potuto aiutare ogni singolo componente del gruppo ad uno sviluppo globale della persona.

1 commento:

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