domenica 24 ottobre 2010

Al cannone del Gianicolo

In cima al colle (praticamente sotto la statua di Garibaldi) è posto dal 24 gennaio 1904 un cannone che spara, a salve, a mezzogiorno in punto. Lo sparo, nei rari giorni in cui la città è meno rumorosa (particolarmente la domenica, o d'agosto), si può sentire fino all'Esquilino.
La cannonata a salve di mezzogiorno fu introdotta da Pio IX nel 1847, per dare uno standard alle campane delle chiese di Roma, in modo che non suonassero ognuna il mezzogiorno del proprio sagrestano. Il cannone era allora in Castel Sant'Angelo, da dove venne spostato nel 1903 a Monte Mario, per qualche mese, per essere poi posizionato al Gianicolo dove ancora sta.
L'uso non fu interrotto dall'Unità d'Italia, ma dalla guerra sì. Fu ripristinato il 21 aprile 1959, in occasione del 2712º anniversario della fondazione di Roma.

martedì 19 ottobre 2010

Già a testa alta

Che fai

già a testa alta

cerchi la mamma per la pappa

o ti fanno compagnia

i gormiti appesi

in fondo al letto di Massimo?

Matteo

forza il cuscino

e cerca un suo orizzonte

mentre la tosse notturna di Mauro

gli desta qualche domanda

Tutti dormono

Tutti vorremmo dormire

ci pensa Matteo

a questa veglia

a stare in piedi a lungo

come i suoi lunghi capelli



Giorgio 18 ottobre 2010

mercoledì 13 ottobre 2010

Quando torni? (a Vincenzo Orsini ad un anno dalla sua morte - 131010)

Quando torni? (a Vincenzo Orsini ad un anno dalla sua morte - 131010)
Gelida non per il freddo sull’uscio di casa Sara aspettava il mio rientro dopo l’ennesimo trasloco serale di questo peregrinare “E’ morto” mi ha detto soltanto ed è corsa in casa ad aspettare il mio abbraccio Mauro e Massimo già dormivano ignari che il nonno avesse appena “varcato la soglia” perché aveva finito il suo compito qui sulla terra e se ne era andato senza il tempo di salutarli Matteo era ancora e solo un accenno mi piace pensare “babbo” che tu lo abbia incontrato nel saliscendi dalla terra al Cielo “E’ morto”

martedì 5 ottobre 2010

Le Sakineh che non vediamo in casa nostra - di Lucetta Scaraffia

Le Sakineh che non vediamo in casa nostra

di Lucetta Scaraffia



Ma quale «interazione tra culture»Qui (in Italia) si tratta di salvare le donne

Mentre sui muri ci guardano ancora i manifesti di Sakineh da salvare, in cui una donna velata di nero con lo sguardo drammaticamente assorto ci ricorda il caso della donna che è stata condannata a morte in Iran, proprio qui in casa nostra, in un paese vicino a Modena, è stata uccisa con una pietra, cioè lapidata, una madre pakistana che difendeva la libertà della figlia. Libertà legittima di scegliersi il marito di fronte alla prepotenza del padre e dei fratelli che le volevano imporre - a sprangate - il loro candidato. È una coincidenza drammatica che fa riflettere: siamo pronti a scendere in piazza, a protestare, per una donna lontana, sicuramente bisognosa del nostro aiuto per scampare alla morte, ma anche, forse, colpevole di omicidio - è sotto processo per questo - e non vediamo quello che succede sotto i nostri occhi a povere donne innocenti.Nessuna Carla Bruni si è mobilitata per stigmatizzare e cercar di fermare l’eccidio di donne immigrate che dal 2006 - quando è stata uccisa Hina Saleem a Brescia - sta insanguinando un paese libero e democratico dell’Occidente quale è il nostro. Nessuna manifestazione per far sentire alle comunità etniche che non vogliono rinunciare alle loro sanguinarie tradizioni la nostra disapprovazione, il nostro rifiuto di accogliere immigrati che non siano disposti ad abbandonare queste mentalità arretrate e violente.Certo, i giornali danno la notizia in un profluvio di deprecazione, preoccupandosi comunque di far presente che non si tratta di tradizioni islamiche, ma legate a particolari gruppi etnici, come non fosse chiaro a tutti che, anche se si tratta di particolari etnie queste sono sempre, chissà come mai, musulmane. Ma poi il problema non viene ripreso e approfondito, non ci sono inchieste nelle enclaves di immigrati per capire la condizione delle donne. Quelle sono riservate ai luoghi lontani, come l’Iran.Viene il sospetto che questo fare i paladini dei diritti umani da lontano, per poi chiudere gli occhi da vicino, sia una scelta un po’ vigliacca per pulirsi la coscienza pagando il prezzo più basso. È un atteggiamento che tradisce la paura per chi abbiamo accolto, fa capire che non vogliamo irritare con troppi controlli, e rivela come sia più facile far finta di non vedere, per poi riempirsi la bocca di parole come accoglienza e interculturalità, piuttosto che difendere le donne straniere che sono arrivate nella nostra terra. Meglio far bella figura con Sakineh che occuparsi seriamente delle bambine, figlie di immigrati islamici a cui, anche nel nostro paese, viene imposta la cloridectomia a un’età sempre più precoce per evitare ribellioni e denunce. Più facile - non costa niente - parlare di «interazione fra le culture», come scrive Repubblica a proposito di questo caso, piuttosto che obbligare i padri prepotenti a rispettare la libertà delle figlie: invece qui non si tratta proprio di un caso di interazione, ma di abbandono di una mentalità per acquisirne un’altra, la nostra. Invece i titoli che alludono a una necessità di cambiamento sono prudenti e molto soft: «Comunità chiuse e impermeabili dobbiamo aiutarle a cambiare regole» titolava sempre Repubblica, come se si trattasse di un paziente lavoro di convincimento a cui i maschi pachistani, o marocchini e indiani, sono pronti a prestare orecchio.Si evita così di prendere atto sul serio di quello che succede anche da noi, perché questo farebbe crollare quel castello di carte che sono i miti di interculturalità, delle culture tutte sullo stesso piano, tutte egualmente degne di rispetto e di riconoscimento. Perché dovremmo dire che ci sono culture che difendono la dignità di tutti gli esseri umani, e altre che invece sanciscono l’inferiorità di alcuni, in genere le donne. Quindi che ci sono culture migliori di altre, culture da difendere e altre da combattere. E non solo regimi politici cattivi, come gli ayatollah iraniani, ma conflitti di valore in cui dobbiamo impegnarci per far vincere il bene. Solo in questo modo possiamo affrontare sul serio il problema dell’immigrazione, possiamo parlare di accoglienza senza fare della vuota retorica. E soprattutto lavorare concretamente per migliorare la condizione delle donne, che ne hanno molto bisogno

sabato 2 ottobre 2010

il mio compleanno



Eccoti

dov'eri nascosto

nei messaggi segreti

di mia moglie

scostati

dai miei veri programmi



nei disegni in cartella

dei miei figli

che fanno a gara

per portarmelo



Eccoti

dov'eri

con questi amici

che suonano

a regolare cadenza

e si avvicinano

per un brindisi



Il mio compleanno

sempre bello

sempre pieno di Angeli Custodi

primo fra tutti

Sara