venerdì 10 giugno 2011

Con o senza il voto, l'acqua resterà pubblica. Come sancito dal codice civile

di Cesare Maffi su Italia Oggi
Bisogna dare atto ai sostenitori dei due referendum sui servizi pubblici di aver già vinto un'importante battaglia, quale che sia l'esito delle urne. Sono riusciti a imporre una patente menzogna, perché hanno fatto prevalere, nell'intera pubblicistica, la comprensione dei due referendum nell'unica dizione, fortunatissima propagandisticamente, dell'«acqua pubblica». Ebbene, la denominazione, usata correntemente e fatta propria perfino dagli avversari dei due quesiti, è due volte falsa. Intanto, le norme di cui si propone l'abrogazione non intendono minimamente portare all'acqua «privata». Nessuno ha mai proposto di cancellare l'art. 822 del codice civile, che resta pienamente in vigore e che così individua il demanio pubblico, per quel che riguarda le acque: «Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti; i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia». Non è finita. Se uno dei due referendum riguarda il servizio idrico, e dunque un riferimento all'acqua (certo senza aggettivi) ha un senso, l'altro è ben più ampio, in quanto investe, come dice la rubrica dell'articolo del quale si propone l'integrale soppressione, i «servizi pubblici locali di rilevanza economica», quelli che una volta erano sovente svolti attraverso aziende municipalizzate. In questo caso si colpisce l'apertura ai privati non per la gestione delle acque (il che già sarebbe un grave limite), ma per tutti i pubblici servizi.

Come che sia, bisogna riconoscere ai referendari l'accortezza con la quale hanno fatto trionfare la loro parola d'ordine. Oggi, infatti, si crede di andare a votare pro o contro l'acqua «pubblica», sul presupposto che le norme da sopprimere rendano l'acqua di proprietà di biechi speculatori privati, come fossimo ancora ai tempi delle «Fodra», le «Forze oscure della reazione in agguato». Certo, il presupposto è falso; ma le conseguenze della falsità possono essere pesantemente vere e gravi, qualora fosse raggiunto il quorum.

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