venerdì 23 gennaio 2009

La legge 40 funziona bene anche i suoi «no» fanno fare progressi

DALLE
DICHIARAZIONI DI ANTINORI IN TV UN’ULTERIORE CONFERMA

  La legge 40 funziona bene anche i suoi «no» fanno fare progressi


 MICHELE ARAMINI


 D

omenica scorsa, durante la trasmissione

pomeridiana di RaiUno, Severino Antinori avrà sorpreso molti
sostenitori dell’idea che l’Italia sia un Paese da cui fuggire per fare
all’estero ciò che la legge 40 sulla fecondazione assistita vieta.
Infatti il ginecologo ha dichiarato che si possono far nascere più
bambini rispettando questa norma, e ha pure affermato che gli stranieri
adesso vengono in Italia perché noi, meglio di altri, siamo capaci di
gestire le tecniche di fecondazione artificiale.
  La dichiarazione ha avuto un seguito ancora più interessante. Antinori ha infatti ammesso con sincerità che ha

dovuto «fare di necessità virtù». Dove la necessità è costituita da una
legge che tutela l’embrione. Questo tipo di norme lo ha infatti spinto
a usare due tecniche che si sono rivelate molto valide e hanno
migliorato il tasso di successi. La prima è la vitrificazione degli
ovuli femminili, che è una particolare tecnica di congelamento con la
quale si possono prelevare gli ovuli prodotti con la stimolazione
ovarica, conservarli e usarli uno per uno secondo necessità, senza
maneggiare embrioni. La seconda tecnica è il miglioramento dell’ « Icsi
» , metodica assai diffusa, con l’analisi degli spermatozoi in modo da
prelevarne uno particolarmente valido, e poi inserirlo nell’ovulo per
mezzo di una microiniezione.
  Si tratta di tecniche note anche prima dell’entrata in vigore della legge 40.
 

Oggi Antinori le usa, con la competenza che gli viene riconosciuta. Ma
ci si può chiedere perché afferma che ha fatto « di necessità virtù » ?
Non sarebbe più esatto dire che osservando le norme giuridiche ( e i
fondamentali stimoli etici) presenti nella legge si possono ottenere
risultati migliori rispetto alla situazione precedente?
 
La richiesta da parte dell’etica di rispettare gli embrioni e, più in
generale, di porre sempre la ricerca scientifica al servizio non solo
dell’umanità ma anche di ogni singola persona non deve essere vista
come limitante per la ricerca stessa.
  Innanzitutto perché una
ricerca che violasse la dignità anche di un solo essere umano sarebbe
per se stessa immorale e farebbe perdere il senso dell’impresa
scientifica, che deve porsi al servizio di ogni uomo senza
discriminazioni. In secondo luogo, l’esclusione di alcune vie di
ricerca non sono la fine

tout court


  della ricerca,
anzi, costituiscono l’impulso a darle nuovi sbocchi. Chiara
dimostrazione di quanto diciamo è la recente scoperta della possibilità
di riprogrammare le cellule adulte per riportarle a uno stato di '
quasi totipotenza' simile a quello delle cellule embrionali. In tal
modo si possono usare le cellule riprogrammate

per studiare possibili terapie con maggiori probabilità di successo,
dato che non presentano le problematiche tecniche poste dalle staminali
embrionali ( incapacità di orientarle verso l’evoluzione desiderata,
rischio di proliferazioni tumorali...).

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