martedì 9 ottobre 2007

Anteprima "Mi hanno accolto con un abbraccio"

Carissimi amici, dal 12 ottobre in libreria o su internet all'indirizzo www.fedecultura.com potete comprare il nuovo libro di Giorgio Gibertini Jolly dal titolo "Mi hanno accolto con un abbraccio" edizioni Fede&Cultura.
Ecco in anteprima la prefazione scritta dal presidente del Movimento per la vita italiano on Carlo Casini
Prefazione a “Mi hanno accolto con un abbraccio”
Le “Storie gioiose” di giovani donne giunte fino all’orlo del baratro dell’aborto, ma poi vittoriose in un guizzo coraggio fino all’abbraccio del figlio neonato, così come le “storie dolorose” di altre madri che, invece, non hanno saputo resistere alla spinta verso l’eliminazione del figlio sono importanti strumenti per far crescere la “cultura della vita”. Servono, naturalmente anche le informazioni scientifiche sullo sviluppo della vita umana, stupefacente fin dal primo big-bang del concepimento, servono i ragionamenti sulla dignità di ogni essere umano, sulla eguaglianza, sul valore della maternità, sul diritto alla vita. Ma, come è stato detto, si pensa con tutta l’anima. Il mondo delle emozioni e dei sensi contribuisce a rafforzare la luce fredda della ragione. Perciò le testimonianze hanno un valore persuasivo superiore, forse, alle lezioni, alle conferenze , alle tavole rotonde.
Se io dico che dal 1978 al 31 dicembre 2005, vi sono stati in Italia 4.663.525 aborti legali e spiego che ho ricavato la cifra facendo la somma matematica delle cifre ufficiali fornite anno dopo anno dal Ministro della Salute e dimostro che questi aborti sono stati distruzioni di bambini non ancora nati suscito una emozione inferiore di quella provocata da Tommaso, il bambino abortito a Firenze perché ritenuto malformato e invece risultato sano e per quattro giorni sopravvissuto con il cuore pulsante.
Ai 4.663.525 aborti legali (ma a fine 2007 veleggeranno verso i 5 milioni, eppoi bisognerebbe aggiungere quelli “clandestini”, resi particolarmente facili dalla “pillola del giorno dopo”) il Movimento per la vita contrappone gli 80.000 bambini sottratti all’aborto in 30 anni condividendo le difficoltà delle madri. Il confronto è squilibrato (4.663.525 contro 80.000!) e tuttavia fa pensare. Se alcuni gruppi di volontari, con pochi mezzi, hanno potuto salvare tanti bambini, quanto maggiore sarebbe il risultato positivo se vi fosse l’impegno “per la vita” dell’intera società e dello Stato con tutte le sue strutture? Ma la forza del ragionamento è più grande se lasciamo parlare le coscienze che sul ciglio del baratro sono state, ma sono tornate indietro.
Capita che i difensori della vita nascente siano accusati di “terrorismo”, per il fatto che essi parlano dei bambini e del feto come esseri umani, cioè come di bambini. Poiché i terroristi buttano le bombe, sparano e uccidono, mentre quelle e quelli dei Centri di aiuto alla vita, dei Movimenti per la vita, delle Case di accoglienza, cercano di non far distruggere i figli, la parola “terrorismo” è chiaramente abusiva. Ma vi è di più. Le testimonianze delle mamme che sono state accompagnate non verso l’intervento abortivo, ma verso la sala parto raccontano di amicizia, di calore umano, di solitudine vinta, di aiuto economico e psicologico, di condivisione e superamento dei problemi che avrebbero spinto verso l’interruzione di gravidanza. 80.000 bambini sono stati salvati non “contro”, ma “insieme” alle loro mamme.
Ma non è facile che una madre sia disposta a raccontare la sua precedente esperienza che l’aveva condotta dinanzi al baratro. Non c’è solo la timidezza. È difficile per i più parlare in pubblico, figuriamoci quando si tratta di alzare il velo sull’intimità di un groviglio di sentimenti e su vicende cariche di dolore. C’è di più. Far sapere ad un figlio, direttamente o indirettamente, che egli ha corso il pericolo di essere privato della vita proprio dalla madre non è cosa senza pesanti controspinte psicologiche. La stessa donna tende a nasconderlo a se stessa. La riservatezza e il silenzio sono un velo che deve essere assolutamente rispettato. Tanto più degne di considerazione sono, perciò, le donne che sono disposte a raccontare al pubblico la loro esperienza. In ogni caso le operatrici dei CAV sanno. Ma esse non violeranno mai la fiducia delle loro assistite, divenute amiche. Se raccontano, escludono nomi, date, riferimenti concreti a luoghi. Né, anch’esse parlano volentieri di un servizio che sentono come vocazione e che non chiede applausi o riconoscimento personale. Tuttavia anche la loro testimonianza è preziosa al fine di costruire una più vasta e profonda cultura per la vita e quindi, ultimamente, per moltiplicare la salvezza di vite umane. Perciò il mensile del Movimento per la vita. “Sì alla vita” pubblica con una certa frequenza “storie” ed esistono già pubblicazioni raccomandate dal Movimento, come “Vite salvate” (a cura di Gianni Mussini, ed. Interlinea), “Se questo è un uomo” (a cura di Giuseppe Garrone, ed. Gribaudi), “La lettera di Sonia” (una toccante videocassetta curata da Lucia Barocchi). Ma il libro di Giorgio Gibertini presenta una singolarità che merita di essere sottolineata. Le “storie” non sono accostate l’una all’altra, magari suddivise e classificate a seconda delle varie situazioni o delle caratteristiche dei testimoni. Questo metodo, il più semplice, rischia di dare la sensazione di una eccessiva ripetitività. Le situazioni sono spesso simili. È la viva voce delle protagoniste che le rende coinvolgenti. Ma in un testo scritto si perde il suono della voce, l’espressione del volto, il groppo alla gola o il sorriso degli occhi. Giorgio Gibertini ha superato questa difficoltà usando il metodo del romanzo storico. Non oso, ovviamente, pensare ad una imitazione del Manzoni, ma è un fatto che egli ha narrato fatti rigorosamente veri, verificatisi con il coinvolgimento di persone veramente esistenti, sempre identificate con il loro vero nome, collocando i singoli racconti all’interno di una narrazione più vasta, parzialmente immaginaria, ma che torna ad essere vera nella misura in cui l’autore parla di se stesso. Perché il racconto dell’autore, in prima persona, forse un po’ immaginario nei tempi e nei luoghi, è una autobiografia vera non solo nella descrizione di sé e della sua famiglia, ma soprattutto, nella manifestazione dei suoi sentimenti e dei suoi ideali. Insomma Giorgio Gibertini non ha raccontato soltanto la testimonianza di donne incontrate. Ha reso anche la testimonianza della sua passione per la vita. Ne deriva una lettura piacevole, talora commovente, resa agile da uno stile giovane. C’è quanto basta per augurare che il libro sia un efficace strumento di diffusione della cultura della vita.
Carlo casini

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