Date a Cesare quel che di Cesare (da Per una Nuova Generazione di Politici Cattolici)
L’argomento che trattiamo in questo capitoletto a molti studiosi è parso essere il programma politico di Gesù Cristo nel suo passaggio terreno, come anche abbiamo appena visto.
Sicuramente la domanda, ma soprattutto la risposta di Gesù, sono fulminanti e chiari e ben esemplificano il rapporto che deve esserci tra Stato e Chiesa, tra cristiani e politica.
Certo, quella di Gesù è un programma politico chiaro, cosa difficile da trovare oggi, e che ovviamente va declinato nei vari ambiti, ma questo aspetto lo affronteremo più avanti ma è anche una risposta politica saggia dalla quale cominciare a prendere lezione per non farsi trovare, da cattolici impegnati in politica, impreparati e vulnerabili.
Certamente l'intreccio di religione e politica è questione delicata: basta pensare ai problemi che sono sorti lungo i secoli quando l'integralismo religioso ha condizionato la vita politica. Ancora oggi inquietano e preoccupano certe azioni di violenza che vengono compiute "in nome di Dio". E tuttavia la questione non si risolve contrapponendo i due termini - religione e politica - oppure facendo finta che uno dei due termini non esista.
Esattamente così - invece - facevano i farisei al tempo di Gesù: da una parte alcuni di essi erano compromessi col potere politico dei romani, al quale chiedevano privilegi e protezione; dall'altra, però, la maggior parte di essi non era capace di aiutare il popolo a vivere la fede di Abramo all'interno di quel preciso contesto storico-politico[1]. In pratica, i farisei favorivano la contrapposizione di religione e politica, essendo questa la via più comoda da seguire; ed erano infastiditi da chi cercava invece una sintesi tra i due termini.
Appunto da questo fastidio nasce la domanda che viene posta a Gesù, come leggiamo nel Vangelo[2]: "È lecito o no pagare il tributo a Cesare?" Con tale questione i farisei vogliono che Gesù si contraddica: posta così, infatti, la domanda ha come sbocco o la critica alla sottomissione a Dio o la critica all'autorità di Cesare. Se diceva di si, sarebbe stato additato come amico dei romani, gli empi pagani che dominavano il popolo di Dio; ma se diceva di no sarebbe stato denunciato ai romani come ribelle alla loro autorità.
Gesù non fa che eludere la domanda perché, si rendeva conto della “loro malizia”, e apostrofa gli interlocutori con le parole: “Ipocriti, perché mi tentate?”. In realtà, la domanda non è “si deve o no pagare il tributo a Cesare”, ma “è lecito o no pagarlo?”. Una cosa è l’obbligo e altra la permissione.
In ogni caso, dunque, la risposta smentirebbe quella sintesi tra religione e politica che Gesù in precedenza aveva sempre cercato di mantenere.
Il Maestro, però, non si lascia incastrare dai farisei: abilmente rovescia la questione, mettendo in luce la cattiva fede dei suoi interlocutori. Essi, infatti, presentando a Gesù una moneta con l'effigie di Cesare, ammettono di riconoscere già - nella loro pratica quotidiana - l'autorità dell'imperatore di Roma: e dunque dichiarano - pur senza volerlo - che quell'autorità è compatibile con la loro esperienza religiosa. In tal modo sono i farisei stessi a suggerire la conclusione a cui Gesù arriva: "Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio".[3]
Dunque, è ovvio che l'autorità politica deve essere rispettata: così di fatto tutti fanno, utilizzando quei soldi il cui valore legale è garantito dall'autorità politica. Ma ciò non vuol dire che l'autorità di Dio rimanga indifferente all'uso che tutti fanno dei soldi. Appunto: rendere a Cesare quello che è suo non ci esonera dal rendere a Dio quello che gli appartiene; e quindi dall'interrogarci di fronte a Dio su quello che è giusto fare.
Proprio così si evita la contrapposizione tra religione e politica: e si impara che la partecipazione alla vita civile - nel rispetto delle sue regole proprie - può trovare nuove risorse proprio grazie all'invocazione del nome di Dio.
Giovanni Paolo II - nel lontano 1993 - commentando la risposta che diede Gesù ai farisei: “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” ribadì che per la Chiesa: “il mondo della religione e quello della politica sono distinti fra loro, ciascuno con finalità proprie”, ma, “l’uomo religioso e il cittadino si fondono nella stessa persona” che dunque non può agire politicamente prescindendo dalla propria fede”.
[1] Parole nuove, commento al Vangelo e alla Liturgia, don Elio Dotto
[2] Vangelo di Matteo 22, 15-21
[3] Vangelo di Matteo, 22,21
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