fratel Ettore |
La voce che senti quando in scena le luci piano piano si accendono è quella di Mike Bongiorno. Con la sua cadenza inconfondibile racconta di un religioso che «pensate, ogni sera con la sua auto passa in Stazione Centrale a Milano e raccoglie chi vive per strada». In controluce, dietro il tulle che fa da sipario, appare la sagoma della Ford azzurrina con sul tetto l’immancabile statua della Madonna. La scena è semplice, teatro di figura, quello che lascia i bambini a bocca aperta: un ponte della Stazione Centrale sopra il quale passa un treno. Sotto, silenziosamente invisibile, avvolta in coperte, immagini l’umanità ai margini di Milano.
«Vittorio, un po’ più piano con la sagoma dei vagoni: lascia il tempo all’auto di fermarsi e caricare l’uomo». È la voce fuori campo del regista che dal mixer luci detta i tempi. Infatti la Ford si ferma e, magia del teatro, la sagoma del senzatetto sparisce. Sparisce dietro una quinta, ma l’illusione è che salga in macchina. Ancora la voce di Mike Bongiorno: «Diamoci da fare per aiutare questo fratel Ettore!». Le luci si abbassano. Parte la musica. «Fuori il ponte. Abdul, pronto con la marionetta di Sabatino. Su il tulle, Viorel!». Dalla sua sedia a rotelle Viorel fa uno sforzo enorme per alzarsi in piedi e far salire il tulle: è reduce da una lunga riabilitazione, ma nella struttura sanitaria che lo ha rimesso in sesto si è portato la sua marionetta e ha continuato a fare esercizi. «Bene. Riproviamo da capo». Romeo corre a bere un bicchiere d’acqua. Perché fa caldo. Pieno pomeriggio d’inizio agosto: nel salone nello scantinato di Casa Betania a Seveso, mentre fuori il termometro implacabile segna 38 gradi, si prova senza sosta Ettore dei poveri. Una ventina di giorni e si va in scena. L’appuntamento è per il 23 e il 24 agosto al Meeting di Rimini. Si lavora tre ore e mezza al giorno: non c’è un minuto da perdere per arrivare pronti al debutto perché in cinquanta minuti si concentrerà il lavoro di due anni.
«L’idea di uno spettacolo di marionette che raccontasse la vita di fratel Ettore mi è venuta per caso: un giorno alcuni volontari mi propongono di fare un salto a Saronno per uno spettacolo della Compagnia marionettistica Carlo Colla e figli. Mi si accende una lampadina». Suor Teresa Martino, che ha raccolto l’eredità di fratel Ettore Boschini quando il religioso è andato in cielo il 20 agosto del 2004, mentre sul palco si cambia scena, spiega di come ha alzato la cornetta e ha chiamato Eugenio Monti Colla per chiedergli una mano. «Male che vada mi avrebbe detto no», sorride oggi. Invece l’ultimo discendente della storica famiglia di marionettisti ha raccolto la sfida con entusiasmo. «È venuto a Casa Betania a tenere un seminario su come si costruiscono e su come si manovrano le marionette. Franco Citterio, storico scenografo della compagnia, ha scolpito nel legno i volti dei personaggi». Ma i Colla hanno fatto di più: «Hanno voluto inserirci nel loro cartellone: saremo in scena all’Atelier di via Montegani il 3 maggio 2013 dove un giorno siamo sbarcati con tutti gli ospiti di Casa Betania per scoprire i loro segreti e farci conquistare dalla poesia e dal candore dei loro spettacoli».
Due anni di lavoro per realizzare le marionette, per dipingere le scene, per costruire il castelletto, come si chiama in termini tecnici il teatrino alto 3 metri e quaranta e con un boccascena di cinque metri. Un intreccio di fili, di quinte, di carrucole. E poi il ponte dal quale i marionettisti manovrano i personaggi. Si chiama Teatro della misericordia. Profuma di legno e di colla. Smontato e caricato su due furgoni farà rotta per Rimini dove i sei marionettisti dell’Opera fratel Ettore saranno ospitati in un oratorio. Prima però, il 18 agosto, prova generale davanti agli ospiti di Casa Betania. «Le marionette sono lo strumento ideale per raccontare fratel Ettore perché sono fatte di cose semplici e povere, legno e fili. Sono qualcosa da costruire con un lavoro paziente», sorride suor Teresa che, prima della conversione e prima di farsi cambiare la vita dal camilliano, ha fatto l’attrice accanto ai grandi della scena italiana, da Paolo Stoppa a Corrado Pani. Povertà e lavoro umile. Che vedi a Casa Betania. Che c’è, folgorante scena che richiama al mandato evangelico del farsi servo, anche sul palco quando il pupazzo di Sabatino, primo collaboratore di fratel Ettore e morto proprio trent’anni fa, lava il piede del suo marionettista Abdul. «Più indietro la gamba, deve essere bene la luce», spiega Emanuele Fant, drammaturgo e regista di Ettore dei poveri.
«Non c’è un copione, ma un canovaccio che per immagini racconta fratel Ettore». C’è il rifugio sotto la Centrale che si affolla di poveri. C’è Casa Betania, distrutta da un incendio, ma poi ricostruita così come un senzatetto l’aveva sognata. «C’è il male contro il quale fratel Ettore ha sempre dovuto combattere», riflette suor Teresa mentre le fiamme di plastica mosse da Vittoria ed Emilio invadono il palcoscenico. E c’è l’abbraccio finale in un’immaginaria danza tra il religioso e la Madonna. I sei marionettisti non doppieranno i personaggi, ma le voci saranno quelle originali, montate in un’incalzante colonna sonora attingendo dalla ricchissima nastroteca di Casa Betania. Ecco perché Mike Bongiorno. Ecco anche frammenti dei tg dei primi anni Ottanta con il cardinal Martini che addita il camilliano come "gigante della carità". Ed ecco la voce di fratel Ettore. «Aiutateci ad essere poveri di quella povertà che merita la beatitudine del Signore», dice la marionetta. Ma se chiudi gli occhi, per un attimo l’illusione è di poterlo rivedere lì, sorridere e pregare con i suoi poveri di Casa Betania.
Pierachille Dolfini
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