L’ultimo successo del made in Italy. «Il segreto è la fiducia». « O rmai nessuno fa il gelato di qualità». Una frase. In un articolo. A volte basta poco ad accendere la mente del sognatore. «Possiamo fare il più buon gelato che ci sia!». Non è solo un gelato. È una passione coltivata fino in fondo. Una grande amicizia. Una bella storia imprenditoriale. E l’amore per le cose buone. Quelle di una volta. No, Grom non è solo un gelato. È molto di più. E se il «gelato, quello che nessuno fa più» ha conquistato i palati di tutto il mondo, dietro c’è più di un «buon» motivo».
La scoperta del gelato di Guido Martinetti, enologo, e Federico Grom, dirigente finanziario in una multinazionale, comincia con un articolo dell’agosto del 2002 in cui Carlo Petrini, fondatore di Slow Food su «Tuttolibri » denunciava la sparizione del gelato «fatto come una volta». Guido si entusiasma. E butta il sasso nella mente 'distratta' di Federico: «Parla di un gelato di qualità, con frutta di stagione, senza aromi, senza emulsionanti, senza coloranti. Capito? ». «E allora?». «Possiamo farlo noi, comperando le materie prime migliori in tutto il mondo. Fare il gelato come una volta». «Non scherzare Guido – è la fredda risposta dell’amico –. Non è proprio il momento. A me sembra folle». «È geniale, invece». Le resistenze di Federico durano poco. Business plan da 32mila e 500 euro a testa e via. Da lì all’apertura del primo negozio a Torino in piazza Paleocapa ci sono lunghe notti insonni, tanti viaggi in giro per l’Italia e un sacco di testardaggine. Il risultato, 10 anni dopo, è 60 punti vendita, oltre 500 dipendenti e cultori del buon gelato sparsi per il mondo, da New York a Tokyo. E un libro «Grom. Storia di un’amicizia, qualche gelato e molti fiori» (Bompiani), in un’edizione originale e 'gustosa', dove si raccontano.
«In principio c’è la passione. Ma la vera molla è la fiducia – dice Federico Grom –. La nostra. E quella che i nostri genitori hanno riposto in noi. Non c’hanno detto: 'Siete matti'. Ma: 'Bravi, complimenti, inseguite il vostro sogno'. Così la nostra scelta irrazionale ('Ma come, lasci il tuo posto da dirigente per fare il gelataio?') è diventata un progetto serio. Con gambe e cuore». A prova di crisi. Perché Grom negli ultimi anni è cresciuto, con numeri importanti: i 65mila euro d’investimento iniziale hanno generato, nel 2011, un fatturato consolidato di oltre 30 milioni, con picchi di 650 persone impiegate, l’80% sotto i 35 anni e per il 75% donne.
«In passato la generazione dei nostri nonni, dei nostri genitori ci ha viziato – continua Federico –. Siamo una generazione sazia, a cui non è mancato nulla. La sazietà porta a perdere determinazione. E a faticare meno. Invece a casa, a scuola dovrebbero insegnarci a sognare, perché sognare significa progettare». La «lezione» che hanno imparato negli Stati Uniti è racchiusa in una parola: «ottimismo». «Ai newyorkesi anche dopo il crollo delle torri, o con la crisi della finanza non è mai mancato l’ottimismo per ripartire. Quello che non trovo invece in Italia. Con l’aggravante che si pensa che la soluzione debba arrivare chissà da dove…». L’ottimismo non manca a Federico Grom e a Guido Martinetti. Anche se di fronte a come sono tartassate le aziende italiane, non manca una «coppetta» di rammarico. Tutta colpa di una percentuale: 62,5%. «A tanto ammonta a pressione fiscale media sulla nostra azienda nei dieci anni. In Italia le aziende sono colpite da due tasse. Una sul reddito, nella misura del 30%: ed è più o meno la tassazione che tutto il mondo paga. Poi salta fuori l’Irap, una tassa iniqua che paradossalmente penalizza chi assume e fa investimenti. Piuttosto che incassare i guadagni, ogni anno prendiamo nuovi rischi. E invece di essere 'premiati' paghiamo più tasse».
Federico, insomma, fa il gelato, ma non dimentica i numeri. È l’anima finanziaria di Grom. Uno sfogo che passa presto, quando la chiacchierata torna sul gelato, sulla qualità degli ingredienti. Sul concetto «allargato » di terroir . È Guido a studiare le ricette, scegliere i fornitori e a seguire l’azienda agricola biologica Mura Mura realizzata fra le colline di Costigliole d’Asti. La frutta per i sorbetti arriva da lì. Una tenuta coltivata con lo stesso stile con cui Angelo Gaja cura le viti del Barbaresco di Sorì San Lorenzo in mezzo alle quali è cresciuto Guido, e lo stesso amore che un contadino ottantenne dell’isola di Hokkaido, l’isola più a Nord del Giappone, mette nei suoi meloni preziosi (venduti a 50 euro, l’uno). Il Giappone che regala a Federico e Guido il senso più bello della loro esperienza di gelatai. «Steve Jobs ci insegna che l’obiettivo non può essere finanziario. È il sogno che muove tutto. Oggi ho una bella macchina. Ma la soddisfazione della bella macchina dura una settimana. La felicità non la si deve cercare lì… L’obiettivo è una casa felice». Lo sanno bene i bambini della tendopoli di Rikuzen Takada, nella prefettura di Fukushima devastata dallo tsunami: a loro Federico e Guido hanno pensato di portare il sollievo di un gelato. Un cono alla crema strappa il sorriso a un bambino che piangeva in un angolo. È un insegnamento per la vita. Con la delicatezza di un fiordaliso. Il fiore preferito dei due gelatai per passione.
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Federico e Guido: tutto è nato dall’idea di fare un prodotto buono, come una volta Ma oggi piuttosto che esser premiati paghiamo più tasse
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