sabato 23 giugno 2012

Grom, il gelato fa l’impresa

L’ultimo successo del made in Italy. «Il segreto è la fiducia». « O rmai nessuno fa il gelato di qualità». Una frase. In un arti­colo. A volte basta poco ad ac­cendere la mente del sognatore. «Possiamo fare il più buon gelato che ci sia!». Non è so­lo un gelato. È una passione coltivata fino in fondo. Una grande amicizia. Una bella storia imprenditoriale. E l’amore per le co­se buone. Quelle di una volta. No, Grom non è solo un gelato. È molto di più. E se il «ge­lato, quello che nessuno fa più» ha conqui­stato i palati di tutto il mondo, dietro c’è più di un «buon» motivo».
La scoperta del gelato di Guido Martinetti, enologo, e Federico Grom, dirigente finan­ziario in una multinazionale, comincia con un articolo dell’agosto del 2002 in cui Car­lo Petrini, fondatore di Slow Food su «Tut­tolibri » denunciava la sparizione del gela­to «fatto come una volta». Guido si entu­siasma. E butta il sasso nella mente 'di­stratta' di Federico: «Parla di un gelato di qualità, con frutta di stagione, senza aromi, senza emulsionanti, senza coloranti. Capi­to? ». «E allora?». «Possiamo farlo noi, com­perando le materie prime migliori in tutto il mondo. Fare il gelato come una volta». «Non scherzare Guido – è la fredda rispo­sta dell’amico –. Non è proprio il momen­to. A me sembra folle». «È geniale, invece». Le resistenze di Federico durano poco. Bu­siness plan da 32mila e 500 euro a testa e via. Da lì all’apertura del primo negozio a Tori­no in piazza Paleocapa ci sono lunghe not­ti insonni, tanti viaggi in giro per l’Italia e un sacco di testardaggine. Il risultato, 10 anni dopo, è 60 punti vendita, oltre 500 dipen­denti e cultori del buon gelato sparsi per il mondo, da New York a Tokyo. E un libro «Grom. Storia di un’amicizia, qualche gela­to e molti fiori» (Bompiani), in un’edizione originale e 'gustosa', dove si raccontano.

«In principio c’è la passione. Ma la vera mol­la è la fiducia – dice Federico Grom –. La nostra. E quella che i nostri genitori hanno riposto in noi. Non c’hanno detto: 'Siete matti'. Ma: 'Bravi, complimenti, inseguite il vostro sogno'. Così la nostra scelta irra­zionale ('Ma come, lasci il tuo posto da di­rigente per fare il gelataio?') è diventata un progetto serio. Con gambe e cuore». A pro­va di crisi. Perché Grom negli ultimi anni è cresciuto, con numeri importanti: i 65mila euro d’investimento iniziale hanno gene­rato, nel 2011, un fatturato consolidato di ol­tre 30 milioni, con picchi di 650 persone im­piegate, l’80% sotto i 35 anni e per il 75% donne.

«In passato la generazione dei nostri non­ni, dei nostri genitori ci ha viziato – conti­nua Federico –. Siamo una generazione sa­zia, a cui non è mancato nulla. La sazietà porta a perdere determinazione. E a fatica­re meno. Invece a casa, a scuola dovrebbe­ro insegnarci a sognare, perché sognare si­gnifica progettare». La «lezione» che hanno imparato negli Stati Uniti è racchiusa in u­na parola: «ottimismo». «Ai newyorkesi an­che dopo il crollo delle torri, o con la crisi della finanza non è mai mancato l’ottimi­smo per ripartire. Quello che non trovo in­vece in Italia. Con l’aggravante che si pen­sa che la soluzione debba arrivare chissà da dove…». L’ottimismo non manca a Fede­rico Grom e a Guido Martinetti. Anche se di fronte a come sono tartassate le aziende i­taliane, non manca una «coppetta» di ram­marico. Tutta colpa di una percentuale: 62,5%. «A tanto ammonta a pressione fi­scale media sulla nostra azienda nei dieci anni. In Italia le aziende sono colpite da due tasse. Una sul reddito, nella misura del 30%: ed è più o meno la tassazione che tutto il mondo paga. Poi salta fuori l’Irap, una tas­sa iniqua che paradossalmente penalizza chi assume e fa investimenti. Piuttosto che incassare i guadagni, ogni anno prendiamo nuovi rischi. E invece di essere 'premiati' paghiamo più tasse».

Federico, insomma, fa il gelato, ma non di­mentica i numeri. È l’anima finanziaria di Grom. Uno sfogo che passa presto, quando la chiacchierata torna sul gelato, sulla qua­lità degli ingredienti. Sul concetto «allarga­to » di terroir . È Guido a studiare le ricette, scegliere i fornitori e a seguire l’azienda a­gricola biologica Mura Mura realizzata fra le colline di Costigliole d’Asti. La frutta per i sorbetti arriva da lì. Una tenuta coltivata con lo stesso stile con cui Angelo Gaja cura le viti del Barbaresco di Sorì San Lorenzo in mezzo alle quali è cresciuto Guido, e lo stes­so amore che un contadino ottantenne del­l’isola di Hokkaido, l’isola più a Nord del Giappone, mette nei suoi meloni preziosi (venduti a 50 euro, l’uno). Il Giappone che regala a Federico e Guido il senso più bello della loro e­sperienza di gelatai. «Steve Jobs ci insegna che l’obietti­vo non può essere finanzia­rio. È il sogno che muove tut­to. Oggi ho una bella mac­china. Ma la soddisfazione della bella macchina dura u­na settimana. La felicità non la si deve cercare lì… L’o­biettivo è una casa felice». Lo sanno bene i bambini della tendopoli di Rikuzen Takada, nella prefettura di Fukushima devastata dallo tsunami: a loro Federico e Guido hanno pensato di portare il sollievo di un ge­lato. Un cono alla crema strappa il sorriso a un bam­bino che piangeva in un an­golo. È un insegnamento per la vita. Con la delicatezza di un fiordaliso. Il fiore preferi­to dei due gelatai per pas­sione. 

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Federico e Guido: tutto è nato dall’idea di fare un prodotto buono, come una volta Ma oggi piuttosto che esser premiati paghiamo più tasse

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