sabato 22 settembre 2012

Il fuori onda non è giornalismo ma uno stabilimento balneare

Il fuori onda di Collovati, quello di Sacconi, quello di Fini, quello di Romney, quelli nelle pause pubblicitarie di Striscia la Notizia e via dicendo. Ormai sembra che per fare questa professione non serva più il saper scrivere, il saper mettere soggetto-verbo-complemento oggetto, conoscere la regola del “chi-che cosa, come, quando, dove, perchè?”, fare un po’ di inchiesta, di ricerca, anche su Google, (dalla mia brevissima ricerca ho scoperto che Fuori Onda è il nome originale di uno stabilimento balneare) delle fonti e via dicendo. No, per essere giornalisti oggi bisogna avere un microfono (meglio una videocamera) con zoom digitale potentissimo e carpire quello che si dicono, a bassa voce nell’orecchio, gli ospiti sul palco.
Il messaggio che passa ai nuovi giornalisti è: non studiate, non fate tirocinio ma fregate il prossimo, il vostro ospite con un microfono sbadatamente lasciato acceso sul tavolino o facendovi venire un orecchio grande così: che il vostro timpano possa assomigliare ad una parabola di Sky.

Eppure rimango dell’idea che questo non sia giornalismo e neanche colpo di fortuna! La dico tutta: io, come giornalista, non pubblicherei mai lettere rubate al Papa ma non perché sono cattolico ma perché che scoop sarebbe corrompere una persona per avere documenti rubati da raccogliere in un libro? Non pubblicherei neanche se la vittima del furto fosse Di Pietro e Massimo Moratti: non è giornalismo questo.

In questo lavoro mi è capitato, a volte, di percepire mezze frasi da mezzi politici ma, se incuriosito, mi sono avvicinato per approfondire col diretto interessato, non per origliare. Questo è giornalismo, questa è una intervista.

Poi, che molti personaggi famosi usino il “fuori onda” per dire quello che non possono dire e passare come vittime, questo è un altro buongiorno!

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