Sono mogli, mariti, mamme, papà ma soprattutto sono grandi professionisti, tecnici, ricercatori, alcuni pluri laureati e con master e specializzazioni (580 in totale) che compongono la spina dorsale dell’Istituto Superiore di Sanità, l’ente che vigila sulla nostra vita e sulla nostra salute, ma sono precari, con contratti rinnovati, a fatica, di anno in anno, chi da 10, chi da 13 e persino alcuni da 25 anni.
Da due giorni hanno occupato l’Aula Magna dell’ISS (per la prima volta in vita loro) perchè chiedono semplicemente di essere “regolarizzati”, non solo per loro ma anche per noi.
Girando i corridoi dell’ISS li incontri affaccendarsi in controlli: Antonella, 25 anni di precariato, controlla i cibi che ogni giorno noi mangiamo; Renzino, 16 anni di precariato, controlla che i dispositivi medici siano a norma e non nuocciano alla salute; Giorgio, 13 anni di precariato, controlla che i giochi, i piatti di plastica, le posate di plastica non siano inquinanti e via dicendo, piano dopo piano, palazzina dopo palazzina fino ad arrivare a chi verifica i vaccini che vengono somministrati ai nostri bambini.
Precari nei contratti e precari nella strumentazione. Lavorano spesso con strumenti vecchi, gestiti sapientemente e con cura nel tempo; pur nella loro instabilità contrattuale hanno a cuore le sorti dell’Istituto e della Nazione intera, lavorando ogni giorno silenziosamente, senza riflettori.
E nel silenzio di un’altra notte hanno deciso di alternarsi in questa manifestazione di protesta perchè col succedersi dei Governi hanno visto concretizzarsi solo grandi proclami e niente altro. Alternarsi vuol dire che mentre alcuni protestano gli altri portano avanti il lavoro, come farebbero due genitori che non smettono mai di vigilare sui propri figli.
Sono lì e staranno lì a lungo. Idealmente mi metto accanto a loro perchè molti li conosco, so come lavorano, conosco la loro vita che è semplicemente quella di ragazzi e ragazze italiani cresciuti nel grande ideale della ricerca e del bene comune ma che stanno invecchiando nella precarietà di questa Nazione incapace di premiare le proprie eccellenze.
Il direttore
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