"Chiuso per lutto. I funerali di zio Amedeo saranno lunedì mattina alle 10". Solo queste parole, scritte in nero su foglio bianco, appiccicate alla serranda del Tabacchi di fronte di casa. Io e mia moglie abbiamo appreso così che quel nonnetto, figura discreta ma sempre presente come la stazionaria nuvola di fumo che lo avvolgeva, si chiamava Amedeo. In dieci anni non ci ho mai scambiato una parola ma solo un giornaliero cenno di saluto col capo alla mia partenza ed al suo arrivo. Però all'ultimo saluto siamo andati e con noi c'erano centinaia di persone, alcune mai viste, che probabilmente in questi anni lo hanno conosciuto perché gli allungava le sigarette o un francobollo per lettera.
Meno male che c'è la morte (degli altri) che ci fa ricordare che siamo vivi, che c'è un Dio a cui siamo chiamati, che ogni tanto bisogna fermarsi e fare silenzio attorno e lasciare che il fumo passi e la brezza del Deserto torni a soffiare.
Meno male che c'è la morte degli altri a riportarci in Chiesa in un giorno feriale, a far avvicinare all'altare chi forse è dall'ultimo funerale che non si vedeva, a farci sentire Cenere che si deposita sul grande posacenere della vita.
Non che io voglia la morte degli altri ma è sicuro che alla mia non potrò esserci, non potrò scriverci: avrò già scritto.
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