sabato 31 marzo 2012

Cuba: le ragazze cercano di espatriare, da Avvenire

E le ragazze cercano un fidanzato per espatriare la storia.  Una giovane racconta: «Così vorrei essere portata via da qui e da questa vita di stenti».  Maria non si considera una prostituta. «Non nel senso stretto della parola», precisa. Perché non si vende alla sera tardi sul Malecon, il lungomare dell’Avana, come tante altre ragazze in minigonna, tacchi alti e bluse semiaperte. Lei sta cercando un fidanzato che s’innamori di lei e la porti via. «Da Cuba e da questa vita di stenti», aggiunge. 
Le caratteristiche del candidato ideale sono poche ma chiare: «Deve essere straniero, meglio seeuropeo – elenca, contando sulle dita di una mano – ricco, o almeno con uno stipendio fisso di oltre 3mila dollari al mese e una casa di proprietà, ed essere gentile. Ah, quasi dimenticavo, non deve essere sposato». Età e aspetto non contano per la 24enne, che assicura la massima devozione e fedeltà al principe azzurro che riuscirà a farla volare con sé oltre il mare.

Le chiamano jineteras , e sono le “fidanzate” a tempo dei turisti occidentali che viaggiano a Cuba in cerca di sesso e compagnia a poco prezzo. Mentre aspettano il “tipo” giusto, come lo chiamano, Maria e le sue colleghe si accontentano di “affittarsi” per un paio di settimane per volta a uno o all’altro turista, in cambio di cene eleganti, regali (impianti per l’aria condizionata, motorini, vestiti e orologi sono i preferiti) o una vacanza sulla spiaggia di un hotel di lusso. Le si nota, a decine, per le stradine dell’Avana vieja, e potrebbero essere scambiate per gruppi cicaleggianti di studentesse universitarie alla fine delle lezioni se non fosse per i pantaloncini attillati e la tendenza a mostrare l’ombelico. Non sono aggressive, ma sanno come avvicinare gli uomini soli nei bar, nelle lobby degli alberghi, persino per strada. Senza dare troppo nell’occhio. Maria in realtà una studentessa lo è stata. «Architettura, per due anni – racconta – ma poi mio padre e mia madre hanno divorziato. Lui lavorava nel ministero per il Commercio estero e guadagnava bene, viaggiava, persino. Ci ha lasciato la casa, ma non ci passa più niente. Se non fosse per me, con quello che prende mia mamma come segretaria faremmo la fame». Per essere più discreta (o forse attirare un certo tipo di clienti) Maria va ancora in giro con la zainetto, la squadra e un rotolo di carta da disegno che sbuca fuori. Ma dice di non rimpiangere la facoltà: «Finire l’università crea solo problemi. Per i laureati è molto più difficile ottenere permessi di viaggio. Il partito ha paura che non tornino, e ha bisogno dei cervelli qui». Maria vive così da tre anni. Una volta c’è mancato poco che facesse centro. «Con un italiano –sorride – di mezza età, dolce. È tornato tre volte in un anno e mezzo. Mi aveva persino preso in affitto una stanza, diceva che mi voleva sposare». Poi si è ingelosito, hanno litigato, «o forse qualcuno a casa gli ha detto di non venire più, non lo so», ed è sparito. Maria è tornata per strada, dove nel frattempo erano comparse ragazze più giovani, più fresche. «Non mi resta molto tempo – conclude, realista – cinque o sei anni, non di più. Poi mi toccherà cambiare i miei piani». 

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