E se per combattere la depressione generale ci sparassimo un bel ministero della Gioia?
Ivan Dall’Ara, sindaco di Ceregnano, Comune veneto di 4mila anime allegre, ha inventato l’assessorato alla gioia, affidandolo al vicesindaco Elena Dall’Oco, cuoca professionale e dunque portata a dispensare gioie culinarie.Apprendo la notizia da Annamaria Barbato Ricci, che sul sito L’Indro mi tira in ballo come autore di un libro sulla felicità.
Già toccare la felicità in un libro è un’ardita impresa,figuratevi istituire un assessorato euforico e beethoveniano alla Gioia.
La felicità si vive, non si descrive e tantomeno si prescrive con ordinanza sindacale. E perché non un assessorato all’Emozione, alla Consolazione, alla Bontà, alla Bella Gnocca?
Ricordo un assessorato toscano al Perdono. L’estroso sindaco di Soveria Mannelli, Mario Caligiuri, nominò Giordano Bruno Guerri assessore al «dissolvimento dell’ovvio». E non mancano sperduti paesi con assessorati alla pace, come se dipendesse da loro la guerra mondiale.
Gli unici paesi dove la gioia può diventare assessorato è nei comuni omonimi: a Gioia Tauro o Gioia del Colle (che non è stato fondato da Napolitano).
Ma la gioia è un fatto intimo, interiore, privato; cosa può fare un Comune, la politica? Vero è che la costituzione americana prevede il diritto alla felicità, ma se la felicità raramente può dartela l’amore, figuratevi la pubblica amministrazione. E poi se i soldi non danno la felicità, figuratevi se possono dartela quelli che te li tolgono. E vissero tutti con l’Ici e contenti.
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