"Nec recisa recidit". Giungo a L'Aquila per sistemare una Bilancia Gibertini sopravvissuta al terremoto e scovata tra le macerie dalle bravi ricercatrici dell'Università che ora, piano piano, ripartono con la sistemazione dei loro laboratori.
A 10 km dall'uscita de L'Aquila ovest il mio cuore comincia a sentire un piccolo dolore, figlio della cronistoria giornalistica di quei tempi che ci è rimasta dentro.
L'Aquila per sempre, avrà il timbro di città terremotata quando passeremo da queste parti, quando racconteremo di lei ai nostri figli?
Non lo so, ma mentre penso con angoscia a tutto questo che non ho vissuto, i chilometri passano, la meta si avvicina e sento che forse è proprio questo che i cittadini de L'Aquila non vogliono: essere vissuti come i terremotati.
Eppure i segni del terremoto sono ovunque: nelle casette prefabbricate mandate tempestivamente dal Governo di allora, ancora lì e nei centinaia di palazzi impacchettati perchè, mi spiega la benzinaia, le grandi aziende sono venute qui, hanno preso i lavori, iniziato la ristrutturazione, incassata la prima cospicua parte di soldi e poi...sono sparite lasciando tutto così come è, palazzi avvolti in sacchetti di plastica e la gente dei container.
Alla nostra Bilancia mancava solo il cavo dell'alimentazione, perso nel terremoto. La nostra azienda gliene regala facilmente un altro. Io provvedo alla consegna, installazione, calibrazione e la bilancia da laboratorio riparte a fatica, ma riparte nel pieno delle sue funzioni. "Neanche spezzata retrocede". Non solo la nostra bilancia. Soprattutto i giovani universitari, i ricercatori, la città intera che lentamente riparte, nonostante tutto e nonostante tutti.
Riparto anche io. L'angoscia mi è passata. Non ho più voglia di guardare a L'Aquila con gli occhi della compassione e col cuore ferito: farei del male a loro, ancora una volta, dopo tanti anni.
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