Ho visto i miei figli arrampicare, su una parete, già piena di chiodi, vicino a Rosara di Ascoli Piceno. Si parcheggia l'auto poco distante, poi si scende un piccolo tratto di bosco ed incontri una parete che sembra messa lì apposta per far allenare i campioni del mondo, gli arrampicatori di professione e di passione, ed i nostri figli. Ci sono delle panchine in legno ad attendere la ridiscesa degli scalatori e ci sono anche i resti di un falò perchè sono tante le persone che vengono qui, dal Cai, agli amici, alle coppie di fidanzati. Uno sotto tiene la corda e la lascia secondo necessità, quello sopra sale e cerca di raggiungere un punto più alto, oppure si allena soltanto a rendere perfetto il tratto già conosciuto.
Se stai in silenzio riesci anche a sentire il solo rumore delle dita che entrano nella roccia cercando un appoggio per fare leva.
C'è una strada poco qui fuori, una città qui sotto, eppure questo posto e questa parete potrebbero essere ovunque nel mondo, ed un po' fuori dal mondo.
Oggi anche Mauro e Massimo hanno fatto la loro prima arrampicata sotto la guida esperta dello zio alpinista. Hanno messo l'imbragatura, il caschetto, la corda e si sono avventurati più facilmente in salita che in discesa. Da sotto li osservavo crescere, andare via, provarci.
La parete come metafora della vita. Il loro sguardo in basso a sorridermi e salutarmi, una volta in vetta, è stato anche per me un regalo grande.
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