martedì 28 febbraio 2012

Alla Larga, l'editoriale di Marco Tarquinio su Luca Abbà, No Tav

La tragedia è bianca, come una scarica da cinquantamila volt. Come un letto d’o­spedale. Come il volto di un giovane uomo folgorato e in coma farmacologico. Come quel che resta di un una raffica di baldan­zose parole di protesta gridate al cielo e fin dentro una radio. La tragedia è rossa come il fantasma di un antagonismo militante e aggressivo che riprende corpo e ritrova oc­casioni e teatri di battaglia. Come un Frec­ciarossa bloccato e danneggiato a settecen­to chilometri dalla Val Susa. Come ogni po­lemica che più cresce più si fa insensata, e annebbia vista e mente, e produce rabbia, e stilla veleni.
Ieri è stato davvero un giorno concitato e terribile. Un giorno di echi tristissimi e, a tratti, disperanti e feroci. E meno male che a sera, per Luca Abbà, davanti al Cto di To­rino non ci sono state più recriminazioni e ritorsioni, ma solo vicinanza e preghiera.

Ormai c’è davvero di tutto nella vicenda del­la Val Susa, e di tutto non può e non deve con­tinuare esserci. Non può più esserci, certo, un dialogo tra sordi fra le istituzioni locali delle Valle e fra queste e quelle centrali: perché non è possibile che ciò che è stato negoziato e compreso e realizzato sul versante francese delle Alpi sia irrealizzabile a casa nostra. Ma non può proprio continuare l’arruolamento, contro i cantieri dell’alta velocità, della peg­giore manovalanza immaginabile nell’Italia di oggi. Non può riaffiorare l’intollerabile ten­tativo di intimidire, e marchiare, magistrati e uomini delle istituzioni. Nessuno può illu­dersi di riuscire a vincere una battaglia con­dotta con le armi di un passato sconfitto e ri­solto. Alla larga dai tralicci e dalle tentazioni dell’alta tensione. Alla larga.

Marco Tarquinio

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