sabato 8 ottobre 2011

Caro Alfano il tuo Pdl difenda gli asili privati, di Vittorio Feltri

Ora gli asili li chiamano in modo diverso: scuola materna o d’infanzia; ma la loro funzione è sempre la stessa. Ma allo Stato non conviene gestire direttamen­te la scuola materna; ha tutto l’interesse a delegare il delicato e fondamentale compito alle associazioni religiose o parareligiose
Caro onorevole Angelino Alfano, scrivo a lei perché è il capo del Pdl, il partito cardine della coalizione di governo, inoltre perché è nota la sua forma­zione e educazione cattolica.
Penso quindi sia sensibile al problema che intendo sotto­porle. Si tratta degli asili che, come saprà, nacquero in Lombardia, precisamente a Mantova, Cremona e Bergamo su iniziati­va dei preti, che a me sono antipatici (sono agnostico, non dico ateo, altrimenti i lettori mi sgridano), ma ai quali bisogna pur rico­noscere molti meriti, so­prattutto quello di fare ciò che lo Stato non sa fa­r­e a sostegno della fami­glia.
Ora gli asili li chiamano in modo diverso: scuola materna o d’infanzia; ma la loro funzione è sempre la stessa. L’uni­ca novità sostanziale è che l’esperimento lombardo, avendo avu­to successo negli anni, è stato esteso all’Ita­lia intera: l’educazione dei bambini dai 3 ai 6 anni è entrata nella routine e nella tradi­zione. E non vi provvedono più soltanto i re­ligiosi (i privati in genere) ma anche lo Sta­to. Il quale gestisce il 43 per cento circa de­gli ex asili. Pochi comunque in confronto a quelli affidati alle associazioni cattoliche, il 57 per cento.
È proprio di questo, caro onorevole, che de­sidero parlarle. Deve sapere che, a grandi li­nee, un bambino iscritto alla materna pub­blica costa all’amministrazione statale cir­ca 6.000 euro l’anno. Mentre fino a un anno fa un bambino accolto in una struttura privata comportava per la medesima amministrazione l'irrisoria spesa di circa 500 euro l’anno, versati sotto forma di contributo. Fatti due con­ti, la gestione privata costava un dodicesimo rispetto a quella pubblica.
Perché una simile sproporzione a pa­rità di servizi erogati? Semplice. Lo Sta­to paga a piè di lista ogni spesa: persona­le dipendente, materiale didattico, ma­nutenzione degli stabili eccetera. Men­tre i preti e i loro collaboratori sono ocu­lati e parsimoniosi per forza di cose: puntano sul volontariato (ad esempio per le pulizie e le riparazioni), sui lasci­ti, sulle generose elargizioni di cittadini e parrocchiani.L’onere principale è co­stituito dagli stipendi alle maestre. Ec­co giustificata la differenza enorme che si riscontra tra i bilanci del pubblico e quelli del privato.
Anche un allocco comprende: allo Stato non conviene gestire direttamen­te la scuola materna; ha tutto l’interesse a delegare il delicato e fondamentale compito alle associazioni religiose o pa­rareligiose. Nonostante questo, cioè no­nostante l'evidenza, il governo que­st’anno ha avuto la brillante idea di ri­durre il contributo ai privati da 500 euro l’anno a 250.Le pare una cosa equa e in­t­elligente? Per me è un’idiozia,nel sen­so che la decurtazione penalizza chi la­vora meglio e a costi sociali nettamente più bassi, e fa risparmiare poco o nulla al governo.Il quale,infatti,continua im­perterrito a sborsare 6.000 euro annui per tenere in piedi le strutture pubbli­che.
Senza contare che, mortificando suo­re e parroci con un taglio di queste pro­porzioni, si rischia di far fallire tanti asili di piccoli Comuni privi di altre adegua­te risorse per tirare avanti e fornire ai bimbi il minimo indispensabile. È vero che i genitori pagano le rette, ma si trat­ta di cifre esigue. In ogni caso, se la retta la pagano loro, non la paga lo Stato. E al­lora mi spiega quale sia la ratio che ha spinto il governo ad adottare un provve­dimento così scriteriato e autolesivo?
Mi auguro, caro onorevole Alfano, che alla luce delle presenti informazio­ni, lei si adoperi per porre fine a questa assurdità. Di cui fanno le spese tutti i connazionali.