La mia riflessione intera come riportata dal sito Figli&famiglia
“C’erano onde alte e il barcone sobbalzava – raccontano Feketre e Aswaf – Eravamo più di trecento, stipati l’uno all’altro, Feketre aveva forti dolori alla schiena ma non abbiamo capito che erano le doglie, pensavamo fosse la posizione scomoda del viaggio. Poi, in un attimo, le si sono rotte le acque. Nostro figlio l’abbiamo fatto nascere noi, con le nostre mani, aiutati dalel altre ragazze che erano nella barca con noi. E’ durato pochi minuti. In quel momento il mare si è calmato. Poi non ho capito più nulla. Intorno a noi c’era chi applaudiva, chi piangeva. Poi abbiamo preso il bimbo e lo abbiamo coperto e chiamato Yeabsera che vuol dire Dono di Dio perchè è grazie a Dio che siamo vivi ed è Dio che ha salvato la vita di nostro figlio”.
Il resto è cronaca, il resto è il racconto di ogni giorno, di ogni barcone, il resto è il nostro ufficio coi nostri colleghi con cui viviamo prima del ritorno in famiglia. C’è molto di miracoloso e di evangelico nella storia della nascita di Yeabsera e si va dall’Unità che mette in prima pagina la foto del neonato con la scritta “Dono di Dio” dell’editoriale della De Gregorio, ad uno splendido commento di Elena Loewenthal su La Stampa per ritornare in prima pagina, in bellissima evidenza, sul trio di quotidiani Il Giorno-Resto del Carlino-LaNazione.
C’è molto di bello in quelle madri di Lampedusa accorse al porto ad attendere Yeabsera, ed i suoi genitori, portando con loro qualche vestitino, dei calzettini, una tutina e, racconta ancora l’Unità, con le lacrime agli occhi a dire: “Non ce ne nascono più a Lampedusa di bambini”. Chissà come hanno ritrovato, queste madri di Lampedusa, un vestitino per l’occasione.
E mentre già si discute su che fine farà questo figlio del… mondo… ora ospite presso i Comboniani a Palermo e ci si interroga non più solo sullo ius soli o ius sanguinis ma ora anche sullo ius maris qualcuno già grida, attualizzando il famoso motto, “Italiano subito”.
Il piccolo è nato in acque internazionali da genitori etiopi, si presume su una barca battente bandiera libica. Dal punto di vista legale e giuridico non c’è nessun appiglio per concedere a Yeabsera la cittadinanza italiana: neanche negli Stati uniti sarebbe cittadino americano: devi nascere in territorio Usa, che può essere anche una barca, una nave, un aereo.
Andrea Sarubbi, deputato PD, ex conduttore di A Sua Immagine così ha chiosato e noi con lui: “Renderlo cittadino italiano però può essere un atto di cuore per motivi umanitari. Come dire: sei nato nel posto sbagliato ma sei arrivato in quello giusto. Hai una speranza di vita migliore”.
Chissà poi davvero che cosa ne pensano, a proposito, i suoi genitori ed il diretto interessato, chissà quando tra qualche anno gli racconteranno di dove è nato, chissà.
Intanto è nato, ha ridato speranza a migliaia di migranti e milioni di italiani che faticano a decidersi di mettere al mondo un figlio per “la precaria situazione lavorativa”.
Forza e coraggio ragazzi, abbiate fiducia nel futuro e nell’umanità!
Intanto è nato e in quel momento il mare si è calmato. Alla mente ritorna l’altra Buona Novella, per eccellenza, che in Marco risuona così, con la stessa dolcezza e verità: “ In quel medesimo giorno, verso sera, disse loro: «Passiamo all’altra riva». E lasciata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui. Nel frattempo si sollevò una gran tempesta di vento e gettava le onde nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che moriamo?». Destatosi, sgridò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e vi fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?». E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?».
Il mistero della vita che si rinnova e la natura si ferma a contemplare.
Giorgio Gibertini
“C’erano onde alte e il barcone sobbalzava – raccontano Feketre e Aswaf – Eravamo più di trecento, stipati l’uno all’altro, Feketre aveva forti dolori alla schiena ma non abbiamo capito che erano le doglie, pensavamo fosse la posizione scomoda del viaggio. Poi, in un attimo, le si sono rotte le acque. Nostro figlio l’abbiamo fatto nascere noi, con le nostre mani, aiutati dalel altre ragazze che erano nella barca con noi. E’ durato pochi minuti. In quel momento il mare si è calmato. Poi non ho capito più nulla. Intorno a noi c’era chi applaudiva, chi piangeva. Poi abbiamo preso il bimbo e lo abbiamo coperto e chiamato Yeabsera che vuol dire Dono di Dio perchè è grazie a Dio che siamo vivi ed è Dio che ha salvato la vita di nostro figlio”.
Il resto è cronaca, il resto è il racconto di ogni giorno, di ogni barcone, il resto è il nostro ufficio coi nostri colleghi con cui viviamo prima del ritorno in famiglia. C’è molto di miracoloso e di evangelico nella storia della nascita di Yeabsera e si va dall’Unità che mette in prima pagina la foto del neonato con la scritta “Dono di Dio” dell’editoriale della De Gregorio, ad uno splendido commento di Elena Loewenthal su La Stampa per ritornare in prima pagina, in bellissima evidenza, sul trio di quotidiani Il Giorno-Resto del Carlino-LaNazione.
C’è molto di bello in quelle madri di Lampedusa accorse al porto ad attendere Yeabsera, ed i suoi genitori, portando con loro qualche vestitino, dei calzettini, una tutina e, racconta ancora l’Unità, con le lacrime agli occhi a dire: “Non ce ne nascono più a Lampedusa di bambini”. Chissà come hanno ritrovato, queste madri di Lampedusa, un vestitino per l’occasione.
E mentre già si discute su che fine farà questo figlio del… mondo… ora ospite presso i Comboniani a Palermo e ci si interroga non più solo sullo ius soli o ius sanguinis ma ora anche sullo ius maris qualcuno già grida, attualizzando il famoso motto, “Italiano subito”.
Il piccolo è nato in acque internazionali da genitori etiopi, si presume su una barca battente bandiera libica. Dal punto di vista legale e giuridico non c’è nessun appiglio per concedere a Yeabsera la cittadinanza italiana: neanche negli Stati uniti sarebbe cittadino americano: devi nascere in territorio Usa, che può essere anche una barca, una nave, un aereo.
Andrea Sarubbi, deputato PD, ex conduttore di A Sua Immagine così ha chiosato e noi con lui: “Renderlo cittadino italiano però può essere un atto di cuore per motivi umanitari. Come dire: sei nato nel posto sbagliato ma sei arrivato in quello giusto. Hai una speranza di vita migliore”.
Chissà poi davvero che cosa ne pensano, a proposito, i suoi genitori ed il diretto interessato, chissà quando tra qualche anno gli racconteranno di dove è nato, chissà.
Intanto è nato, ha ridato speranza a migliaia di migranti e milioni di italiani che faticano a decidersi di mettere al mondo un figlio per “la precaria situazione lavorativa”.
Forza e coraggio ragazzi, abbiate fiducia nel futuro e nell’umanità!
Intanto è nato e in quel momento il mare si è calmato. Alla mente ritorna l’altra Buona Novella, per eccellenza, che in Marco risuona così, con la stessa dolcezza e verità: “ In quel medesimo giorno, verso sera, disse loro: «Passiamo all’altra riva». E lasciata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui. Nel frattempo si sollevò una gran tempesta di vento e gettava le onde nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che moriamo?». Destatosi, sgridò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e vi fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?». E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?».
Il mistero della vita che si rinnova e la natura si ferma a contemplare.
Giorgio Gibertini
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