martedì 3 febbraio 2009

ELUANA AD UDINE. PREGHIAMO PER ELUANA E PER QUELLI CHE NON SANNO QUELLO CHE FANNO

O 3 febbraio 2009

Eluana è arrivata alla clinica "La Quiete" di Udine



Quella neolingua che parla della sorte da riservare ai “diversamente
vivi”



Tra “accoglienza”, “epilogo naturale” e “diritto alla salute”




L'ambulanza con a bordo Eluana
Englaro e' arrivata alla clinica 'La Quiete' di Udine qualche minuto
prima delle sei di questa mattina, dopo un viaggio notturno. A  Lecco,
davanti alla clinica da cui Eluana e' partita, ci sono
state proteste di aderenti di associazioni contrarie all'esecuzione
della sentenza, che si sono stesi sul cofano dell'ambulanza per
impedire la partenza. Una situazione sbloccata dall'arrivo della
Polizia. Ad attendere la donna in stato vegetativo, una selva di 
giornalisti. Nella struttura, dovrebbe consumarsi l'ultimo capitolo per
Eluana, in coma da 17 anni, con la sospensione dell'alimentazione e idratazione forzata.
(Afv/Gs/Adnkronos)

"Se ci verrà chiesto siamo disposti ad accogliere Eluana
in una struttura pubblica”. Nel novissimo dizionario della
postmodernità laicista, ricordiamoci che “accogliere” si traduce
“provocare la morte per fame e per sete”. Prendiamone nota, perché
altrimenti le parole del presidente della regione Piemonte, Mercedes
Bresso, estrapolate tra cinquant’anni dal contesto che le ha prodotte,
rischierebbero di essere fraintese. Rischierebbe di essere frainteso
anche il giurista Amedeo Santosuosso, che al Corriere della Sera parla
di “diritto alla salute”. Per Eluana, dice, quel diritto “ora consiste
nella sospensione di nutrizione e idratazione”. E’ chiaro? Da questo
momento, quando sentiremo parlare di “diritto alla salute”, dobbiamo
sapere che può voler dire: “Far morire di fame e di sete una persona
che ha bisogno di acqua e cibo per vivere”. Come chiunque, del resto.

Nel novissimo dizionario postmoderno leggiamo anche
che la fine comminata per fame e per sete a una disabile in stato
vegetativo persistente – il cui corpo testimonia da diciassette anni un
inequivocabile attaccamento alla vita – diventa, nella forbita
argomentazione dell’illustre avvocato Carlo Federico Grosso, l’“epilogo
ormai logico e naturale”. Ecco, va fatta la massima attenzione: c’è un
nuovo significato di “naturale”. Eluana sarà accompagnata alla “morte
naturale”, ha scritto Piero Colaprico su Repubblica; faceva eco al
padre di Eluana Englaro, Beppino, quando chiedeva che Eluana
riprendesse “il suo cammino della morte naturale, interrotta dalla
rianimazione e dalle terapie forzate”. “Morte naturale”, prendiamo
dunque nota, è la morte per fame e per sete. Eluana non può mangiare e
bere da sola – come un neonato, come qualsiasi grave disabile – e
dunque poche storie: nutrirla e dissetarla significa ostacolare il
naturale corso degli eventi.

Ma siamo davvero incorreggibili: ci ostiniamo a
chiamare Eluana “disabile”. Eppure la bioeticista animalista Luisella
Battaglia ha scritto che la donna è stata indebitamente “promossa” a
disabile da Eugenia Roccella. Non è una disabile, semmai è
“diversamente viva”. A quando “post persona”? Questione di tempo, non
c’è fretta. Il novissimo dizionario della postmodernità eutanasica sa
il fatto suo. Dedica pagine e pagine alla parola “libertà”, da sola o
in opportuna compagnia di “diritto”. “Per la libertà di Eluana”, ovvero
per la sua morte procurata per sete e per fame, era lo slogan della
manifestazione radicale a Lecco, sabato scorso. Quella culminata con la
consegna delle diciassette rose (una per ogni anno passato dalla donna
in stato vegetativo) a Beppino Englaro, come anticipazione o in
sostituzione delle corone funebri. Il ritardo nel comminare quella
morte, e l’atto di indirizzo del ministro Sacconi che ricorda alle
strutture sanitarie la loro funzione, diventano così “lesione di un
diritto”. Dei “diritti di un padre, che dopo aver sofferto per
diciassette anni, si vede adesso sballottato da una istituzione
all’altra. E da una interdizione all’altra”, si indigna la solita
Bresso.

Ha spiegato il dottor Mario Riccio, quello che ha staccato il respiratore a Piergiorgio Welby:
“Non sono i medici che mancano al padre di Eluana, ma la struttura.
Seppure non collegare il sondino alla sacca per l’alimentazione e
l’idratazione è, nei fatti, un atto più semplice che staccare il
respiratore e sedare il paziente, come è avvenuto per Welby, la
situazione è più complessa. Si tratta infatti di non prescrivere la
sacca per quindici-venti giorni di seguito”. Non “un unico atto attivo,
ma un atto passivo ripetuto per molti giorni”. E’ la famosa “morte
naturale”, l’“epilogo naturale” della scandalosa vita di Eluana, è il
“protocollo operativo di distacco dell’alimentazione artificiale” che
la clinica Città di Udine aveva predisposto con ogni cura. Loro erano
certamente disposti ad “accogliere” Eluana (vedi sopra per la vera
traduzione) ma poi è intervenuto Sacconi e il protocollo operativo a
cura dei volenterosi volontari per la libertà di Eluana ha subito
ritardi.

Nel dizionario non mancano la “volontà di Eluana”,
la sua “autodeterminazione”: traduzioni certificate da sentenza di
quello che altri dicono di lei (“di fatto, Eluana continua a non vedere
rispettata la propria volontà”, dice il neurologo Defanti). Si
comprende l’impazienza della curatrice speciale: “Siamo sempre pronti a
valutare qualunque disponibilità purché non rappresenti ulteriore
perdita di tempo”. Cercasi volenterosi esecutori di sentenza di morte.
Astenersi perditempo. C’è in programma la “morte dignitosa” di Eluana
Englaro. Basta ricordarsi che “dignità”, nel novissimo dizionario della
postmodernità eutanasica, significa soppressione di un disabile, per
fame e per sete.

di Nicoletta Tiliacos

Nessun commento:

Posta un commento