giovedì 10 gennaio 2008

Con i soldi dell’emergenza, la Campania avrebbe potuto costruire 7 di questi impianti

Visto dall’autostrada sembra il monolite di 2001 Odissea nello spazio o una gigantesca scatola di spaghetti innalzata al cielo da un cuoco bizzarro. E invece con questo camino alto 120 metri dipinto di blu dall’architetto austriaco Jorrit Tornquist, a Brescia da dieci anni si fumano 800 mila tonnellate di rifiuti, risparmiano 150 mila tonnellate di petrolio, riscaldano 50 mila appartamenti, accendono le lampadine di 190 mila famiglie e tengono l’aria così pulita che più pulita non si può. «L’anno scorso la Columbia University ha premiato il Termoutilizzatore di Brescia come il migliore al mondo. Meglio di Malmö, Amsterdam, Vienna, Rochester... La nostra tecnologia è esportata ovunque», spiega l’ingegner Elio Tomasoni, il country manager di A2A, la società che gestisce questo impianto a meno di due chilometri dal centro della città.
 A Mosca ne hanno fatto uno uguale. A Napoli non ci sono mai riusciti. A chiedergli perché, questo manager in grigio fumo circondato da aria pulita non sa darsi una spiegazione plausibile: «Per costruire un termoutilizzatore come questo ci vogliono 300 milioni di euro, un anno per il progetto, due per edificarlo. In 15 anni si ammortizzano le spese. Leggo che a Napoli per l’emergenza rifiuti negli ultimi anni hanno speso 2 miliardi di euro. Ne potevano costruire sette...». Eppure ci avevano provato a dare una mano alla Campania sommersa dai rifiuti. Ci avevano provato in ogni modo. Paolo Corsini, il sindaco Pd di Brescia lo ricorda bene: «Ho avuto contatti con Rosa Russo Iervolino, Antonio Bassolino e l’ex commissario Guido Bertolaso... Non se n’è fatto più niente. Il governo dovrebbe emettere un decreto per obbligare la costruzione di impianti come questo». 
Sotto i portici di piazza della Loggia dove non c’è uno che non abbia oramai confidenza con il «Tiù» come hanno imparato a chiamarlo tutti, qualcuno si è pure preoccupato che potessero arrivare fino a qui i camion da Napoli, per smaltire le montagne di rifiuti sotto cui è seppellita la Campania. L’ingegner Tomasoni lo esclude: «L’impianto è a dimensione provinciale. E poi non servirebbe a nulla. Almeno fino a quando in Campania non si porranno obiettivi chiari». Il sindaco Corsini rilancia la palla: «I piani di soccorso in tema di smaltimento dei rifiuti sono di competenza regionale. Se vuole, si prenda la responsabilità Formigoni...».
L’improbabile e impopolare decisione del Governatore lombardo non sembra turbare la fila dei 150 camion carichi di rifiuti che ogni mattina, 365 giorni l’anno, attraversano il cancello circondato dai prati, passano sotto il rilevatore di radioattività - qui si lavora ogni tipo di scoria, tranne quelle tossiche o nocive - e scaricano la loro preziosa immondizia nelle gigantesche fosse che alimentano le tre fornaci Martin dove i rifiuti vengono inceneriti a oltre 1000 gradi. La tecnologia è Ansaldo e ABB, il camino lo hanno progettato in Germania.
I cinquanta operai che lavorano ogni turno hanno tute blu pulite. Per terra non c’è una cartaccia, sembra la Svizzera. Anche dentro gli impianti non si sentono odori sgradevoli. «Le fosse di raccolta sono in depressione atmosferica. Entra l’aria pulita, non esce quella inquinata», spiegano i tecnici davanti a questo pannello di controllo largo una parete con le lucine che brillano e la gru azionata con un doppio joystick come la playstation. Le turbine girano sotto la pressione a 70 bar dell’acqua calda a 460 gradi prodotta con il calore della combustione dei rifiuti. Dieci anni fa in città la raccolta differenziata era al 16%, oggi è al 44%. In cambio a Brescia e provincia tornano energia elettrica per 528 milioni di chilowattora e 505 milioni di energia termica. «L’impianto alimenta anche una rete di 550 chilometri di teleriscaldamento che distribuisce calore al 70% del territorio e questo ha consentito di spegnere 16 mila caldaie in altrettanti edifici», fa due conti Antonio Bonomo, il direttore dei sistemi energetici della società bresciana.
Le emissioni di diossina sono dieci volte sotto la soglia stabilita dal ministero della Sanità. E sotto sono anche tutti gli altri parametri sui fumi emessi dal camino del Termoutilizzatore. In dieci anni i limiti non sono mai stati superati. Antonio Bonomo dice che il modello di riferimento è il protocollo di Kyoto: «Le 470 mila tonnellate di anidride carbonica non emesse nell’ambiente equivalgono ad una forestazione di 15 mila ettari». Il modello Brescia certificato dalla Columbia University si impone in mezzo mondo. Il sindaco di New York Michael Bloomberg ha chiesto informazioni. Solo in Europa ci sono 400 Termoutilizzatori. In Italia ne funzionano cinquanta. Trenta al Nord. A Napoli neanche uno.
FABIO POLETTI INVIATO A BRESCIA 

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