Si fa strada nell'opinione pubblica la sensazione che il divorzio non sia così "normale" e "indolore" come da decenni è stato propagandato
di Luciano Moia
«Separarsi? Divorziare? Normale, inevitabile quando nella coppia qualcosa si inceppa». Non è vero, naturalmente. Ma quante volte negli ultimi trent'anni certa psicologia militante ha proclamato concetti del genere, contestabili sul piano etico e comunque lontani dalla realtà vissuta dalla maggior parte delle coppie, pretendendo di farli digerire come prassi ordinaria? Ci sarebbe da indagare sugli effetti devastanti prodotti in tante coscienze fragili da questa ignobile vulgata psico¬sociale sull'amore e sul matrimonio che in pochi anni ha intaccato modi di pensare e di agire. Ideologie pericolose travestite da verità, che sono diventate convinzioni collettive. A diffondere, persuadere, rilanciare gli assiomi più dirompenti anche le redazioni dei giornali, soprattutto certi settimanali femminili, capaci di trasformare in proposte accettate luoghi comuni senza fondamento. Leggendo la posta delle lettrici da anni si incontrano risposte del tipo: «Quando le cose vanno male, meglio separarsi per il bene dei figli». Oppure: «Tronca, è inutile trascinare una relazione che comincia a fare acqua». E ancora: «Meglio soffrire da soli che sopportare anche la sofferenza di chi non si sopporta più».
Frasi scontate perché ripetute mille volte, ma approssimative, banali e bugiarde, perché ignorano alcuni punti fermi, primo tra tutto il dramma della sofferenza. Ogni matrimonio che va a pezzi porta tensione, stress, dolore, smarrimento interiore. I tanti delitti compiuti da uomini incapaci di accettare le conseguenze della separazione sono solo la punta dell'iceberg di una devastazione sommersa che dovrebbe essere considerata emergenza sociale. Soprattutto quando ci sono bambini e ragazzi costretti a sopportare, prima e dopo la fine del matrimonio, le incomprensioni, le chiusure, le ripicche e purtroppo talvolta le violenze dei genitori.
Chi se la sente, di fronte a questi episodi, di proclamare ancora che «separarsi è bello»? Forse, proprio alla luce di una situazione sociale che non può più essere ignorata, qualcosa sta erodendo le convinzioni più sedimentate anche tra i teorici del "matrimonio debole". Lo dimostrerebbe quanto scritto il mese scorso da Marina Terragni —femminista storica — su "lo Donna", il settimanale del "Corriere". A una lettrice che mette in dubbio la "normalità" della separazione, rivelando la sua disperazione e i suoi pensieri ossessivi sugli errori commessi nei confronti del marito, la giornalista risponde che sì, «il numero di separazioni e di divorzi autorizza a parlare di una certa normalità». Ma poi ammette che quando ci si passa o si ha accanto qualcuno che si sta separando ci si rende conto «della lacerazione, della quantità di dolore, dell'enormità dei problemi emotivi e pratici. Se per ragioni di propaganda—sostenere la possibilità di divorziare — su tutto questo si è a lungo sorvolato, forse è venuto il momento di dirci davvero come stanno le cose».
E cioè che per troppi anni in molti, teorizzando la possibilità di un amore leggero, a tempo, e proclamando la "normalità" della separazione soprattutto per ragioni ideologiche, non solo non hanno risolto in alcun modo i problemi della vita di coppia — e come avrebbero potuto? — ma hanno contribuito a moltiplicare nelle famiglie e nella società disagi, incomprensioni e sofferenze.
Adesso bisogna correre ai ripari soprattutto sul piano culturale, sul fronte complesso e delicatissimo della formazione delle coscienze. Non si tratta di mettere in discussione la legge sul divorzio ma di spiegare, dati e fatti alla mano, che divorziare non è un approdo auspicabile, una possibilità ordinaria, una soluzione da mettere in conto senza troppe preoccupazioni quando le cose non funzionano. Dobbiamo avere il coraggio di affermare che separarsi e divorziare fa male, che spezzare un legame è un evento che apre la strada a grandi sofferenze non solo personali, che anche nelle situazioni più difficili si può e si deve valutare sempre la possibilità di ricominciare insieme. Ma per avviare questa grande operazione a vantaggio di tutti non basta la buona volontà. Servono strumenti legislativi, culturali, anche pastorali, di cui ancora non
disponiamo. Pensiamoci.
Noi Genitori & Figli – 30-9-2007
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